L'autenticità dei «resti di Ekaterinburg». Nel primo centenario della morte di Nicola II
La notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, a Ekaterinburg, la città intitolata alla Grande Martire Caterina di Alessandria, santa patrona della zarina Caterina I di Russia, moglie di Pietro il Grande, un gruppo di bolscevichi fucila nel seminterrato della casa Ipat’ev la famiglia imperiale, composta dallo zar Nicola II, la moglie Aleksandra, le quattro figlie Ol’ga, Tat’jana, Marija, Anastasija, e l’erede Aleksej, più il medico Evgenij Botkin, la cameriera, il cuoco e il maggiordomo, 11 persone in tutto. Ora su questo luogo sorge la Cattedrale sul sangue in onore di Tutti i Santi risplendenti nella terra russa.
L’ordine è di far scomparire i corpi. Si pensa dapprima di gettarli nel pozzo della vecchia miniera detta «fossa di Ganja», che si trova nel boschetto detto «dei quattro fratelli», a circa 8 chilometri a sud-est di Ekaterinburg. Ma la miniera da tempo abbandonata, ha i pozzi crollati e pieni d’acqua piovana. I corpi potevano tornare a galla. Pertanto il giorno successivo, 18 luglio, i bolscevichi li recupera-no per portarli in un’altra miniera più lontana e più profonda. Ma dopo circa 5 km il camion si impantana in una zona paludosa nel bosco cosiddetto di «Porosenkov Log». Volendo liberarsi al più presto del compito, i membri del gruppo scaricano i corpi, li irrorano con l’acido per renderli irriconoscibili e li seppelliscono sul posto. I resti saranno ufficialmente rinvenuti nell’estate del 1991, nel periodo del crollo dell'Unione Sovietica, quando la città di Ekaterinburg riacquistò il suo nome dopo aver avuto quello di Sverdlovsk a partire dal 1924.
Gli esami autoptici rileveranno che nel gruppo mancano lo zarevič Aleksij e la principessa Marija. Per motivi ancora misteriosi i loro resti sono stati bruciati e seppelliti a parte. Verranno ritrovati poco distante nel 2007, dopo la morte dell'allora presidente russo Boris Eltsin.
Fu davvero una scoperta storica... I resti, infatti, erano pochissimi: in primo luogo si trattava dei corpi più piccoli e in secondo luogo erano stati cosparsi di acido e poi bruciati; a questo va aggiunto che erano stati sepolti a poca profondità: le variazioni di temperatura avevano contribuito a danneggiarli e anche quello che si era conservato era stato fortemente rovinato dal tempo. Fra le radici degli alberi furono rinvenuti i cocci dei recipienti che contenevano l’acido. Sono dei resti unici: l’acido veniva dal Giappone e quindi anche la ceramica era giapponese. Ogni cosa, in modo evidente, contribuiva a formare un unico mosaico.
Finì così la dinastia dei Romanov, quasi un secolo fa. Nel 2018, infatti, ricorre il primo centenario di questa tragica storia avvenuta in una notte di luglio del 1918 nella «capitale degli Urali», la città che si estende su entrambi i lati della catena montuosa degli Urali, nelle due parti del mondo, l'Europa e l'Asia. Un pò come l'antica capitale dell'Impero bizantino, Costantinopoli, sulle rive del Bosforo, e la penisola della Crimea, dopo il suo ritorno nella Federazione Russa, con il suo ponte sullo stretto di Kerck in via di realizzazione, tra l'Europa e l'Asia.
I resti della famiglia imperiale furono identificati con la tecnica forense convenzionale delle impronte genetiche. Successivamente sono state eseguite anche analisi del Dna mitocondriale, pubblicate nel 1994.
Il 17 luglio 1998, nell'80° anniversario del tragico evento, la famiglia imperiale viene inumata nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo nel corso di un funerale di Stato presenziato dall'allora presidente Boris Eltsin. Di lì a poco, sarà eletto come Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, oggi al suo terzo mandato come presidente e al primo un mandato di sei anni, che terminerà nel 2018, quando con un'elevata percentuale sarà rieletto per governare altri sei anni, fino al 2024.
Nel 2000 la Chiesa ortodossa russa, guidata dal Patriarca Alessio II, ha canonizzato e dichiarato santi martiri Nicola II e i membri della famiglia imperiale, insieme ad altri 850 martiri della rivoluzione bolscevica. La Chiesa russa all'estero li canonizzò il 19 ottobre 1981 insieme al suo seguito e al medico Evgenij Botkin.
Nell'aprile del 2008 vengono identificati i corpi della granduchessa Marija e dello zarevič Aleksej attraverso il test del Dna. A novant'anni dall'uccisione, nel luglio del 2008, gli esami vengono ufficialmente confermati dal comitato investigativo dell'Ufficio del Procuratore della Federazione Russa. Lo stesso giorno le autorità russe comunicano ufficialmente che l'intera famiglia è stata identificata. Si era appena insediato come presidente Dmitrij Medvedev.
Lo zar e la sua famiglia vengono ufficialmente riabilitati dal Presidium della Corte Suprema russa il 1 ottobre 2008, in quanto vittime della repressione sociale, religiosa e politica.
Il 16 ottobre 2009, il procuratore generale della Federazione Russa Yurij Chaika ha deciso di riabilitare i membri del seguito della famiglia reale, tra cui il medico di corte Evgenij Botkin.
Il 3 febbraio 2016 il Consiglio dei Vescovi della Chiesa ortodossa russa ha benedetto a livello della Chiesa intera il culto del santo martire Evgenij Botkin, al quale è già stata dedicata la prima chiesa nella città di Mosca.
Sono in corso ulteriori studi sui «resti di Ekaterinburg» per fugare ogni dubbio sulla loro autenticità perché per la Chiesa sono sante reliquie. La terra santa della Russia ha restituito alla gloria eterna i resti dello zar in un momento in cui il Paese viveva il crollo dell'Unione Sovietica e poi un periodo di vuoto politico affinché non si dimentichi che prima del 1914 era la quinta potenza industriale, aveva un’economia con la più rapida crescita in tutta l'Europa, un posto di primo piano nella ricerca scientifica, nell'arte, nella letteratura e nella musica. E questo è già un miracolo.
Cattedrale sul sangue in onore di Tutti i Santi risplendenti nella terra russa