Teologia dell'icona nella Chiesa ortodossa. La sua testimonianza nel mondo

Conferenza del Metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le Relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, al Seminario san Vladimir in memoria dell’arciprete Alexander Schmemann - New York, 5 febbraio 2011.

Il Protopresbitero Alexander Schmemann era molto sensibile al significato di bellezza e armonia nella vita spirituale. Lui stesso era molto esperto nelle arti e possedeva un’impeccabile gusto artistico che permeava le sue riflessioni in maniera profonda, con una sottigliezza di rara forma e stile. Un posto rilevante nella sua eredità è occupata dalle interpretazioni teologiche sull’arte: “Che cosa rende un’opera una vera e propria opera d’arte e dove è il segreto della sua perfezione? Mi sembra che sia nella coincidenza completa, nella fusione tra legge e grazia ... Senza il diritto, la grazia non è possibile proprio perché sono interdipendenti: l’immagine come appagamento, forma e contenuto, idea e realtà... Questo è particolarmente evidente nell’arte. L’arte inizia con la ‘legge’, cioè con abilità, obbedienza e umiltà, accettazione di forme. Ma l’arte è adempiuta nella grazia: la forma diventa contenuto, rivela il contenuto, essa è il contenuto. “Quando Padre Alexander giustamente considerava l’icona tra le più alte manifestazioni del genio artistico umano, ne dava chiara affermazione teologica e cristologica: “L’icona è anche frutto di questo rinnovamento dell’arte e il suo aspetto è strettamente collegato con l'inizio nella coscienza della Chiesa del significato dell’Incarnazione: la pienezza della divinità che abita corporalmente in Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto, ma il Cristo uomo lo rivela in pieno. In Lui Dio diventa visibile. Significa che Egli diventa anche descrivibile. L’immagine di Gesù uomo è quindi l’immagine di Dio, perché Cristo è il Dio-Uomo... Nell’icona vi è al tempo stesso un’ulteriore rivelazione della profondità del dogma di Calcedonia e il dono di una nuova dimensione nell’arte umana, perché Cristo ha dato una nuova dimensione all’uomo”.

In questa relazione, vorrei evidenziare alcune delle proprietà più caratteristiche delle icone nella Chiesa Ortodossa. Cercherò di prendere in considerazione l’icona ortodossa nei suoi aspetti teologici, antropologici, cosmici, liturgici, mistici e morali.

Il significato teologico dell’icona

L’icona è soprattutto teologia. Trubeckoj ha descritto l’icona come una “contemplazione a colori”, mentre padre Pavel Florenskij l’ha definita “un richiamo al Prototipo divino”. L’icona ci riporta a Dio come al Prototipo nel quale tutti gli esseri umani sono creati. Il significato teologico dell’icona è esprimere nella lingua dell’arte le verità dogmatiche rivelate agli esseri umani nella Sacra Scrittura e nella Tradizione della Chiesa.

I Santi Padri videro l’icona come un Vangelo per gli analfabeti. “Le immagini sono utilizzate nelle chiese in modo che l’analfabeta possa almeno guardare le pareti per leggere quello che non può leggere nei libri”, ha scritto san Gregorio Magno, Papa. Secondo san Giovanni Damasceno, “L’immagine è un memoriale, come le parole sono per l’orecchio che ascolta. Se il libro è per il letterato, l’immagine è per gli analfabeti. L’immagine parla agli occhi come le parole all’orecchio; attraverso la mente noi entriamo in unione con essa”. San Teodoro Studita ha sottolineato che “Ciò che è esposto nel Vangelo su carta e inchiostro è raffigurato nell’icona attraverso varie pitture e altri materiali”. Negli atti 6 del Settimo Concilio Ecumenico (787) si legge: “Come la parola comunica tramite l’udito così l’arte mostra silenziosamente attraverso un’immagine”.

Le icone possono svolgere un ruolo catechetico. “Se uno dei pagani viene a voi dicendo: mostrami la tua fede ... tu lo porterai in chiesa e gli mostrerai le immagini sacre”, dice san Giovanni Damasceno. Allo stesso tempo, l’icona non può essere vista come una semplice illustrazione del Vangelo, o una rappresentazione di eventi nella vita della Chiesa. “L’icona non rappresenta nulla, rivela piuttosto qualcosa”, afferma l’archimandrita Zinon. In primo luogo, rivela a noi il Dio invisibile - Dio che, secondo l’evangelista, “nessuno ha mai visto”, ma che è stato rivelato all’umanità nella persona del Dio-Uomo Gesù Cristo (Gv 1,18).

Come è ben noto, nel Vecchio Testamento esisteva il rigoroso divieto dell’immagine di Dio. Qualsiasi immagine del Dio invisibile sarebbe il frutto della fantasia umana e di menzogna verso Dio, adorando un’immagine equivarrebbe a venerare una creazione al posto del Creatore. Il primo comandamento del Decalogo di Mosè dice: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso”. (Es 20, 4-5). Il Nuovo Testamento, invece, rivela un Dio fattosi uomo, visibile agli esseri umani. Con la stessa tenacia con la quale Mosè dice che il popolo sul Sinai non ha visto Dio, gli Apostoli dicono che lo hanno visto: “E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito del Padre” (Gv 1, 14), “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita” (1 Gv 1, 1). E se Mosè sottolinea che il popolo di Israele non ha visto “nulla”, ma ha solo sentito la voce di Dio, l’apostolo Paolo chiama Cristo “immagine di Dio” (Col 1,15) e Cristo stesso disse di sé: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. L’invisibile Padre si rivela al mondo attraverso la sua immagine, la sua icona, per mezzo di Gesù Cristo, il Dio invisibile che è diventato un uomo visibile.

Ciò che è invisibile non può essere rappresentato, ma ciò che è visibile è possibile in quanto non è più il frutto della propria fantasia, ma una realtà materiale. Il divieto veterotestamentario delle immagini del Dio invisibile, secondo san Giovanni di Damasco, rende possibile di ritrarre Dio quando diventa visibile. San Giovanni dice: “E’ chiaro che a quel tempo [prima di Cristo] non si poteva fare un’immagine del Dio invisibile, ma quando l’Informe è diventato un uomo per te, allora si potrà fare l’immagine di lui nella sua forma umana. Quando l’invisibile, vestito di carne, diventa visibile, allora si può rappresentare Lui vestito in forma umana. Quando l’invisibile diventa visibile a noi, si possono poi ritrarre le sue sembianze... tutto si può ritrarre con parole e colori sia nei libri che sulle tavole”.

Il Protopresbitero Alexander Schmemann nel suo libro “Percorso storico dell’ortodossia orientale” fornisce un’eccellente interpretazione del dogma della venerazione delle icone e la sua importanza fondamentale per l’affermazione di una posizione veramente cristologica: “Poiché Dio si è unito con l’uomo completamente, l’immagine del Cristo uomo è anche un’immagine di Dio, allo stesso modo Florovsky ha detto che tutto ciò che è umano in Cristo oggi è l’immagine vivente di Dio. Ed in questa unione materiale Egli stesso si è fatto nuovo e diventa degno di lode. “Non mi inchino alla materia, ma al Creatore della materia, che per causa mia ha assunto la sostanza e attraverso la materia ha compiuto la mia salvezza, e non cesserò di onorare la materia, attraverso la quale si è compiuta la mia salvezza”. Questa definizione cristologica dell’icona e della sua venerazione costituisce la sostanza della dottrina promulgata dal Settimo Concilio Ecumenico. L’intera controversia cristologica, infatti, raggiunge il suo culmine con questo Concilio, che ha dato all’icona il suo ultimo significato “cosmico”... In questo modo la giustificazione della venerazione dell’icona ha portato a termine la dialettica dogmatica dell’età dei concili universali. Questa dialettica si è concentrata, come abbiamo già visto, su due temi fondamentali della rivelazione cristiana: la Trinità e l’Incarnazione. In questo senso la “fede dei Sette Concili ecumenici e dei Padri” è l’eterno e immutabile fondamento dell’Ortodossia”.

Questo orientamento teologico, che ha assunto la sua forma definitiva durante la lotta contro l’eresia iconoclasta del V e VIII-IX secolo, era implicitamente presente nella Chiesa fin dai primi tempi. Già nelle catacombe di Roma possiamo vedere immagini di Cristo, in genere nel contesto di particolari episodi della storia evangelica.

L’immagine accettata di Cristo e la sua giustificazione teologica sono stati formulati anche nel periodo delle controversie iconoclaste. La dottrina è espressa con estrema chiarezza nel kontakion per la festa dell’Ortodossia: “Nessuno potrebbe descrivere il Verbo del Padre; ma quando Egli ha preso la carne da Te, o Madre di Dio, Egli ha accettato di essere descritto, e l’immagine caduta è stata restaurata alla sua antica bellezza. Noi confessiamo e proclamiamo la nostra salvezza con le parole e con le immagini”. Questa poesia, composta da san Teofane il metropolita di Nicea, uno dei difensori della venerazione delle icone nel IX secolo, parla di Dio, la Parola diventa “descrivibile” alla luce dell’incarnazione. Avendo assunto la natura umana decaduta, Cristo ha restaurato negli esseri umani l’immagine di Dio secondo la quale siamo stati creati. Quando la bellezza divina (in slavo “bontà”) si è fusa con la malvagità umana ha salvato la natura umana. E questa salvezza è descritta nelle icone (“immagini”) e nei testi sacri (“parola”).

L’icona bizantina non è solo un’immagine di Gesù uomo, ma proprio Dio fatto uomo. Questo è ciò che distingue l’icona ortodossa dall’arte rinascimentale religiosa che rappresenta Cristo “umanizzato”. Commentando questa distinzione, Lèonide Ouspensky scrive: “La Chiesa ha “gli occhi per vedere” così come ha le “orecchie per sentire”. Pertanto, si ascolta la Parola di Dio nel Vangelo scritto in parole umane. Si vede anche Cristo con gli occhi della fede incrollabile nella sua divinità. È per questo che lo si presenta su un’icona non come un uomo qualsiasi, ma come l’Uomo-Dio nella sua gloria anche al momento del suo abbandono totale”. E’ per questo che la Chiesa ortodossa non ha mai raffigurato Cristo nelle sue icone semplicemente come un essere umano sofferente fisicamente e mentalmente, come accade nella pittura sacra occidentale.

L’icona è strettamente legata con il dogma, ed è impensabile al di fuori del contesto dogmatico. Attraverso mezzi artistici, l’icona comunica le dottrine fondamentali del cristianesimo, la Santissima Trinità, l’Incarnazione, la salvezza e la deificazione dell’uomo.

Gli eventi nella storia del Vangelo sono in gran parte interpretati nella iconografia soprattutto in un contesto dottrinale. Le icone canoniche ortodosse, ad esempio, non rappresentano la risurrezione di Cristo, ma la sua ascesa dall’inferno, portando i giusti dell’Antico Testamento. La rappresentazione di Cristo che esce dalla tomba, spesso con una bandiera nelle sue mani, è di origine molto tarda ed è legata stilisticamente ai prototipi occidentali. La tradizione ortodossa conosce solo l’immagine di Cristo che emerge dall’inferno, e questo corrisponde alla memoria liturgica della Risurrezione di Cristo. I testi liturgici dell’Octoëchos e Triodon interpretano questo avvenimento puramente dal punto di vista dogmatico.

Il significato antropologico dell’icona

Ogni icona è antropologica nel suo contenuto. Non c’è un’icona senza l’immagine di una persona, sia essa il Dio-Uomo Gesù Cristo o la Santissima Madre di Dio o uno dei santi. Sono un’eccezione solo le immagini simboliche e le raffigurazioni degli angeli (ma anche gli Angeli sono mostrati con un aspetto umano). Non ci sono icone con un paesaggio o una natura morta. Paesaggi, piante, animali, oggetti per la casa - tutti possono essere trovati in una icona, se la trama lo richiede, ma il protagonista principale di qualsiasi immagine iconografica è la persona.

Allo stesso tempo, l’icona non è un ritratto. Essa non pretende di riprodurre l’immagine precisa di un santo particolare. Non sappiamo come erano i santi più antichi, ma abbiamo a disposizione molte fotografie di persone sante recentemente canonizzate. Il confronto della foto di un santo con la sua icona dimostra vividamente che il pittore di icone si sforza di presentare solo i tratti più caratteristici dell’aspetto esteriore del santo. Nell’icona Egli è riconoscibile ma lui è diverso, i suoi tratti sono raffinati e nobili.
L’icona mostra una persona nel suo stato trasformato e divinizzato. Ouspensky scrive: “L’icona è l’immagine di un essere umano veramente pieno della passione bruciante e della grazia santificatrice dello Spirito Santo. Pertanto, la sua carne è rappresentata come essenzialmente diversa dalla carne ordinaria corruttibile di un essere umano. L’icona comunica una determinata realtà spirituale: è sobria sulla base di un’esperienza spirituale e completamente libera da ogni esaltazione. Se la grazia illumina tutta la persona, in modo che tutta la sua struttura mentale, fisica e spirituale sia come inghiottita nella preghiera e piena di luce divina, l’icona raffigura visibilmente questa persona divenuta un’icona vivente, a somiglianza di Dio”. Secondo l’archimandrita Zinon, l'icona è “l’immagine di una creatura trasformata e divinizzata, con la stessa umanità trasfigurata che Cristo ha rivelato nella sua persona”.

Secondo la rivelazione biblica, noi esseri umani siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1, 26). Alcuni Padri della Chiesa distinguono l’immagine di Dio (data inizialmente da Dio all’uomo) dalla Sua somiglianza (che l’uomo realizza attraverso l’obbedienza alla volontà di Dio e attraverso una vita di virtù). San Giovanni Damasceno scrive: “Dio ha creato l’uomo dotato di una natura visibile e invisibile, a sua immagine e somiglianza, formando il corpo dalla terra e dando su di essa attraverso il suo respiro un’anima razionale e intellettuale, che noi chiamiamo l’immagine divina. La parola “immagine” si riferisce alla capacità mentale e al libero arbitrio, mentre il termine “somiglianza” si riferisce alla capacità dell’uomo di somigliare a Dio”.

Come conseguenza della caduta, l’immagine di Dio nell’uomo è stata oscurata e distorta, ma non del tutto perduta. L’uomo caduto era come un’icona che era stata oscurata dal tempo e dalle candele e doveva essere pulita per risplendere della sua originaria bellezza. Questa purificazione si è verificata con l’incarnazione del Figlio di Dio che, attraverso l’azione dello Spirito Santo, ha restaurato l’immagine caduta alla sua originaria bellezza. Ma l’uomo stesso ha bisogno di fare uno sforzo ascetico in modo che la grazia di Dio non sia inutile in lui ed egli sia in grado di riceverla.

L’ascesi cristiana è un cammino verso la trasformazione spirituale. E la trasformazione dell’uomo è un’icona per noi. L’icona ortodossa è maestra di vita ascetica in quanto ci insegna la dottrina della fede. L’iconografo dipinge le mani di un santo e i piedi più sottili di quanto non siano nella vita reale, mentre i tratti del volto, gli occhi, il naso e le orecchie più allungati. In alcuni casi, come nelle icone di Dionisio, le proporzioni del corpo umano sono distorte da allungamenti del corpo e dalla riduzione delle dimensioni della testa di circa la metà. Tutte queste e molte altre tecniche artistiche sono impiegate per trasmettere il cambiamento spirituale che accade alla carne umana come risultato della prodezza ascetica di un santo e dell’impatto di trasformazione effettuata su di essa dallo Spirito Santo.

La carne umana rappresentata nelle icone differisce radicalmente dalla carne che viene disegnata nella pittura convenzionale. Questo è manifestamente evidente quando le icone sono fianco a fianco con l’arte realistica del Rinascimento. Confrontando le antiche icone russe con le tele di Rubens, che ritraggono la corpulenza della carne umana in tutta la sua nuda bruttezza, Trubeckoj afferma che l’icona dà una nuova comprensione della vita contro la vita biologica, bestiale, idolatrica dell’uomo decaduto. La cosa più importante in una icona, secondo il filosofo, è “la gioia della vittoria definitiva del Dio-Uomo sull’uomo decaduto portando tutta l’umanità e tutta la creazione nel Tempio”. Egli aggiunge però che “l’uomo deve essere preparato per questa gioia eseguendo uno sforzo. Egli non può entrare a far parte della Chiesa di Dio così come egli è perché non c’è spazio in essa per un cuore non circonciso, per la corpulenza e l’autosufficienza. E’ per questa ragione che le icone non possono essere scritte con le persone vive”.

L’icona di un santo non indica tanto il processo di un risultato, il modo di come raggiungere un fine, il percorso verso un obiettivo, ma è essa stessa l’obiettivo. In una icona vediamo qualcuno che non lotta con le passioni, ma le ha superate, non cerca il Regno dei cieli, ma lo ha già raggiunto. In questo senso, l’icona non è dinamica, ma statica. Il personaggio principale di una icona non viene mai rappresentato in movimento: lui o lei è in piedi o seduta (fanno eccezione le scene di vita dei santi che verranno discusse più avanti). Solo i personaggi secondari sono mostrati in movimento, come i Magi nell’icona della Natività di Cristo, o gli eroi di composizioni altamente popolate, essendo questi solo esemplificativi.

Per lo stesso motivo, un’icona raffigurante un santo non è mai dipinta di profilo, ma quasi sempre frontale o, talvolta, se il soggetto lo richiede, in semi-profilo. Solo chi non è venerato è dipinto di profilo, in quanto sono personaggi subordinati, come i Magi, o figure negative, come Giuda il traditore alla Cena mistica. Gli animali sono anche rappresentati di profilo. Il cavallo montato da san Giorgio il Vittorioso è sempre di profilo, come il serpente colpito dal santo, mentre il santo si rivolge sempre di faccia a chi osserva.

Secondo san Gregorio di Nissa, dopo la risurrezione ognuno di noi riceverà un nuovo organismo che sarà diverso da quello precedente, proprio come il corpo di Cristo dopo la sua risurrezione che differiva dal suo corpo terreno. Il nuovo corpo umano “glorificato” sarà immateriale, luminoso e leggero, ma manterrà la somiglianza del corpo materiale. Allo stesso tempo, secondo san Gregorio, nessuno avrà i difetti del corpo materiale, come le mutilazioni o i segni della vecchiaia. In un modo simile, un’icona dovrebbe preservare il corpo materiale di un Santo, ma non dovrebbe riprodurre i difetti della sua identità fisica.

L’icona evita le immagini naturalistiche del dolore e della sofferenza. Non ha come obiettivo quello di avere un impatto emotivo sullo spettatore. E’del tutto estranea a qualsiasi emotività, ad ogni angoscia. Per questo motivo l’icona bizantina e russa della crocifissione, a differenza della sua versione occidentale, raffigura Cristo morto, piuttosto che la sofferenza. Le ultime parole di Cristo sulla croce sono state: “Tutto è compiuto” (Gv 19, 30). L’icona mostra quello che è successo e non ciò che lo ha preceduto, non il processo ma il risultato, offrendo in tal modo ciò che è effettivamente accaduto. Il dolore, la sofferenza e l’agonia hanno attirato i pittori occidentali del Rinascimento. In un’icona, però, tutto questo resta fuori dalla vista. L’icona ortodossa della crocifissione può mostrare il Cristo morto, ma non è meno bella delle icone che lo descrivono in vita.

Il punto più significativo di una icona è il volto. I primi pittori di icone distinguevano “il personale” dal “pre-personale”. Quest’ultimo comprendeva il paesaggio dello sfondo, i vestiti, che venivano dipinti dagli apprendisti, mentre il volto era dipinto dal maestro stesso. Il centro spirituale di un volto iconico sono gli occhi. Raramente questi occhi guardano dritto negli occhi dello spettatore, ma più spesso accade che chi osserva guarda non tanto negli occhi quanto nella sua anima. “Il personale” comprende non solo le braccia ma anche il volto. Nelle icone, le braccia sono spesso molto espressive. I santi sono solitamente raffigurati con le braccia alzate e le mani aperte allo spettatore. Un gesto tipico, come l’icona della Madonna del segno (Orante), che simboleggia un appello a Dio nella preghiera.

Il significato cosmico dell’icona

Se il personaggio principale di una icona è la persona, il suo contesto spesso è rappresentato dall’immagine del cosmo trasformato. In questo senso, l’icona è cosmica, come è naturale – ma la natura è nel suo stato escatologico.

Secondo la visione cristiana, l’armonia originaria che esisteva in natura, prima della caduta, è stata violata da un atto di disobbedienza. La natura, dunque, insieme con l’uomo soffre e attende la redenzione insieme con l’uomo. San Paolo dice a tal proposito: “La creazione stessa attende in ardente attesa per i figli di Dio di essere rivelata. La creazione è stata sottoposta a frustrazione, non per sua scelta, ma per volontà di colui che l’ha assoggettata, nella speranza che la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà e nella gloria dei figli di Dio. Sappiamo che l’intera creazione sta gemendo come nelle doglie del parto fino ad oggi” (Rm 8, 19-22).

L’icona riflette l’escatologico, lo stato redento e divinizzato della natura. Le caratteristiche di un asino o di un cavallo sono, in una icona, raffinati come quelli di una persona, e, di conseguenza, gli occhi degli animali nelle icone sono umani, non sono quelli di un asino o di un cavallo. Noi vediamo nelle icone la terra e il cielo, gli alberi e l’erba, il sole e la luna, gli uccelli e i pesci, gli animali e i rettili, però tutti sono sottoposti ad un unico disegno e costituiscono una sola chiesa in cui Dio regna. Nelle composizioni iconografiche è come se “Tutto ciò che respira lodi il Signore!”, “Lodino tutti il nome del Signore”, “Fa che tutti coloro che ti cercano siano contenti e gioiscano in te”. Trubeckoj scrive, “si possono vedere tutte le creature sotto il cielo unite nella glorificazione di animali in movimento, nel canto degli uccelli e persino nei pesci che nuotano in acqua. E in tutte queste icone, il progetto architettonico al quale tutta la creazione è sottoposta è sempre raffigurato in forma di chiesa - cattedrale: ad essa gli angeli aspirano, in essa i Santi si riuniscono, intorno ad essa la vegetazione verde del paradiso, e ai suoi piedi o intorno gli animali affluiscono”.

Il filosofo vede “concepito nell’uomo questo nuovo ordine di rapporti che si estende alla creazione inferiore. Tutta la rivoluzione cosmica è compiuta: l’amore e la compassione danno inizio nell’uomo ad una nuova creazione. E questa nuova creazione trova la sua immagine nella iconografia: per intercessione dei santi la Chiesa di Dio si apre alla creazione inferiore, dando spazio in sé alla sua immagine spirituale”.

In alcuni casi, anche se piuttosto rari, la natura è mostrata non come sfondo ma come oggetto principale all’attenzione dell’artista, come per esempio, nei mosaici e affreschi dedicati alla creazione. Un prototipo eccellente di questo genere si trova nei mosaici della basilica di san Marco a Venezia (VIII secolo), nei quali i sei giorni della creazione sono raffigurati all’interno di un gigantesco cerchio diviso in una moltitudine di segmenti. Questi mosaici, insieme ad una serie di icone e affreschi, sia bizantini che dell’antica Russia, ritraggono la natura come animata. Nel mosaico del Battistero di Ravenna (VI secolo), dedicato al Battesimo del Signore, Cristo è immerso nelle acque del Giordano fino alla cintola, con Giovanni Battista alla sua destra e il Giordano alla sua sinistra personificato in un vecchio con lunghi capelli grigi, barba lunga e un ramo verde in mano. In vecchie icone del Battesimo spesso vediamo nell’acqua due piccole creature, maschio e femmina, simili agli esseri umani. Il maschio simboleggia il fiume Giordano, la femmina il mare (un’allusione al Salmo 114:3, “Il mare guardò e fuggì, il Giordano si volse indietro”). Alcuni vedono in queste figure alcune reliquie dell’antichità pagana. Ma penso che essi sottolineino piuttosto la percezione della natura da parte dell’iconografo come organismo vivente in grado di ricevere la grazia di Dio e rispondere alla presenza di Dio. Scendendo nelle acque del Giordano, Cristo santifica l’intera natura dell’acqua, che ha incontrato e accolto con gioia il Dio incarnato: questa verità è mostrata dalle creature simili agli umani raffigurati nelle icone del Battesimo del Signore.

In alcune antiche icone russe della Pentecoste viene raffigurato un uomo che indossa una corona reale in una nicchia scura in basso, con la parola “cosmo” scritta sopra di lui. Questa rappresentazione è a volte interpretata come un simbolo del cosmo illuminato dall’azione dello Spirito Santo, attraverso il messaggio apostolico. Trubetkoj vede nel “re-cosmo” un simbolo del cosmo antico schiavo del peccato a cui la Chiesa, abbracciando il mondo e con la grazia dello Spirito Santo si oppone: “Sembra dall’opposizione della Pentecoste al re-cosmo che la chiesa, in cui presiedono gli apostoli, sia intesa come un mondo nuovo e un nuovo regno: è l’ideale cosmico, che dovrebbe liberare il cosmo reale dalla prigionia. Per dare una stanza per sé al reale prigioniero che deve essere salvato, la chiesa dovrebbe coincidere con l’universo: esso dovrebbe includere non solo un nuovo cielo, ma anche una nuova terra. E le lingue di fuoco sugli apostoli mostrano chiaramente come il potere per raggiungere questa Rivoluzione Cosmica è capita”.

La parola greca “cosmos” significa bellezza e bontà. Nel trattato di Dionigi l’Areopagita “Sui nomi divini”, la bellezza è interpretata come uno dei nomi di Dio. Per Dionigi, Dio è la Bellezza perfetta “a causa della bellezza comunicata da se stessa a tutte le cose belle, in un modo adatto a ciascuna, e come causa di buona armonia e luminosità di tutte le cose che splendono come luce per abbellire tutte le cose con il suo raggio fontale, e come chiamare tutte le cose a se stesso, riunendo tutti in tutto. E questo si chiama Bellezza”. Ogni bellezza terrestre pre-esiste nella divina bellezza come prima causa.

Nel suo libro, caratteristicamente intitolato “Il mondo come il compimento della bellezza”, il filosofo russo Nikolay Lossky scrive: “La bellezza è un valore assoluto, cioè un valore che ha un significato positivo per ogni persona in grado di percepirlo ... Bellezza perfetta è la pienezza dell’essere, che contiene la totalità di tutti i valori assoluti”.

La natura, il cosmo, l’universo intero materiale è un riflesso della bellezza divina, e questo è ciò che l’icona è chiamata a rivelare. E’ possibile per il mondo partecipare alla bellezza divina, ma solo nella misura in cui esso “non si sottomette alla vanità” e non ha perso la capacità di percepire la presenza di Dio. Nel mondo caduto, la bellezza co-esiste con la bruttezza. Tuttavia, così come il male non è una vera e propria “partner” della bontà, ma solo l’assenza di bontà - la sua incapacità di opporsi a ciò che è buono - neppure le brutture di questo mondo prevalgono sulla bellezza. “La bellezza e la bruttezza non sono distribuite in modo uniforme in tutto il mondo: nel complesso, la bellezza prevale”, afferma Lossky. Nell’ icona, tuttavia, vi è la prevalenza assoluta della bellezza e l’assenza quasi totale della bruttezza. Anche il serpente nell’icona di san Giorgio e i diavoli nella scena del Giudizio Universale hanno un aspetto meno minaccioso e ripugnante di molti personaggi nell’arte di Bosch e Goya.

Il significato liturgico dell’icona

Lo scopo dell’icona è liturgico, essa è parte integrante dello spazio liturgico, che è la chiesa, ed è un elemento essenziale nei servizi divini. “L’icona per sua stessa natura... in nessun modo è destinata al culto personale riverente, scrive lo ieromonaco Gabriel Bunge , “Il suo luogo teologico è in primo luogo la liturgia in cui il messaggio della Parola è completato dal messaggio del simbolo”. Al di fuori della Chiesa e della liturgia, in gran parte l’icona perde il suo significato. Certo, ogni cristiano ha il diritto di appendere un’icona a casa, ma lui ha questo diritto solo in quanto la sua casa è una continuazione della chiesa e la sua vita una continuazione della liturgia. Una galleria è un luogo sbagliato per le icone. “Un’icona in una galleria non ha senso, perché non può vivere qui, come un fiore secco in un erbario o una farfalla appuntata su una scatola”.

L’icona partecipa alla liturgia con il Vangelo e gli altri oggetti sacri. Nella tradizione della Chiesa ortodossa, il Vangelo non è solo un libro per la lettura ma anche un oggetto liturgicamente venerato: durante la liturgia il Vangelo è solennemente portato fuori per essere baciato dai fedeli. In modo simile, l’icona come “Vangelo a colori” non è solo un oggetto da contemplare, ma anche per essere venerato con la preghiera. L’icona viene baciata, incensata e venerata con inchino fino a terra. Essa non è la tavola dipinta dinanzi alla quale si inchina il cristiano, ma prima di tutto è la persona raffigurata su di essa. Secondo san Basilio Magno, “l’onore reso all’Immagine passa al prototipo”.

Il significato dell’icona come oggetto di venerazione liturgica è stata esposta nella definizione dogmatica del Settimo Concilio Ecumenico, che ha deciso che “le icone dovrebbero essere baciate e sono oggetto di venerazione e di onore, ma non di culto reale, che è riservato a Lui che è il soggetto della nostra fede”. I padri del Concilio, seguendo san Giovanni di Damasco, distinguono tra adorazione (latreia), che è dovuta a Dio, e venerazione (proskynesis), che è rivolta a un angelo o a un uomo deificato, sia esso la Santissima Madre di Dio o uno dei santi.

Le prime chiese venivano decorate non tanto con le icone dipinte su tavole quanto con affreschi, che è il modello più antico dell’iconografia ortodossa. Anche nelle catacombe, gli affreschi occupano un posto di rilievo. Nel periodo post-costantiniano le chiese sono state dipinte con affreschi dappertutto, da cima a fondo e in tutte e quattro le pareti. Le chiese più ricche erano decorate con mosaici oltre che con affreschi.

La differenza più evidente tra un affresco e un’icona è che l’affresco non può essere rimosso da una chiesa. E’ strettamente “fissato” alla parete ed è legato per sempre alla chiesa dove è stato dipinto. L’affresco vive con la Chiesa, invecchia insieme con essa, è restaurato insieme ad essa e muore insieme ad essa. Legato com’è a una chiesa, l’affresco è una parte organica del suo spazio liturgico. Il soggetto degli affreschi, così come delle icone, corrisponde a momenti dell’anno liturgico. Nel corso dell’anno, la Chiesa ricorda gli eventi fondamentali della storia biblica e del vangelo, eventi della vita della Santissima Madre di Dio e della storia della Chiesa. Ogni giorno del calendario della chiesa è dedicato alla memoria di santi particolari - martiri, santi vescovi, venerabili Padri, confessori, principi pii, folli in Cristo, ecc. Di conseguenza, un affresco può rappresentare feste di Nostro Signore, della Madonna, dei santi, così come scene del Vecchio e Nuovo Testamento. Eventi relativi a un tema particolare, sono normalmente posti in fila. La chiesa è stata progettata e costruita come un tutto uno, quindi i temi degli affreschi corrispondono al ciclo liturgico e riflettono anche le sue dediche particolari. Per esempio, in una chiesa dedicata alla Santissima Madre di Dio, gli affreschi raffigurano la sua vita, mentre in una chiesa dedicata a San Nicola è illustrata la vita del santo.

Icone dipinte su pannelli di legno a tempera su fondo avorio o eseguite con la tecnica ad encausto si diffusero nel periodo post-costantiniano. Nelle prime chiese bizantine, tuttavia, vi erano poche icone. Le immagini del Salvatore e della Madre di Dio erano collocate davanti al santuario, mentre le pareti della chiesa erano decorate esclusivamente o quasi esclusivamente con affreschi. Le chiese bizantine non avevano iconostasi a più livelli, il santuario era separato dalla navata da una bassa barriera che non nascondeva le azioni nel santuario dagli occhi dei fedeli. Fino ad oggi, la maggior parte delle iconostasi nell’Oriente greco hanno un solo livello con bassi cancelli e più spesso senza porte sante. Le iconostasi a più livelli si sono diffuse in Russia nel periodo post-mongolo, e il numero di livelli aumentò con i secoli, con iconostasi a tre livelli nel 15° secolo, quattro nel 16°, e cinque, sei e sette nel 17° secolo.

Lo sviluppo dell’iconostasi nella Russia antica ha una profonda logica teologica che è stata esaminata in dettaglio da un certo numero di studiosi. L’architettura dell’iconostasi è integrale e completa. In questo i suoi temi corrispondono a quelli degli affreschi, i soggetti delle icone spesso ripetono quelli degli affreschi. L’obiettivo teologico dell’iconostasi non è di nascondere qualcosa ai fedeli, piuttosto di rivelare ai fedeli la realtà di cui ogni icona è una finestra. Secondo Florenskij, l’iconostasi “non nasconde nulla ai fedeli... Al contrario, essa rivela loro, mezzo accecati come sono, i misteri del santuario, aprendo loro, zoppi e storpi, l’ingresso a un diverso mondo chiuso per loro a causa della loro bassa posizione e gridando ai loro orecchi sordi il Regno dei Cieli”.

Nelle prime Chiese cristiane è tipico di tutti i fedeli, sia chierici che laici, prendere parte attiva alla liturgia. Nei dipinti murali di quel periodo un posto importante è stato dato alle rappresentazioni dell’Eucaristia. Il messaggio eucaristico di fondo era già presente con i primi simboli cristiani come il calice, il pesce, l’agnello, un cesto di pani, una vite, o un uccello che becca una vite. Nel periodo bizantino, tutti gli affreschi della chiesa erano centrati tematicamente sul santuario, che rimaneva aperto e dipinto con immagini recanti un rapporto immediato con l’Eucaristia. Tra tali immagini c’era “la Comunione degli Apostoli”, “La Cena mistica”, le immagini di coloro che hanno scritto la Liturgia, in particolare Basilio Magno e Giovanni Crisostomo, oltre gli innografi della chiesa. Tutte queste immagini sono state progettate per sintonizzarsi con i fedeli in modo eucaristico e prepararli a partecipare a pieno titolo alla liturgia e alla comunione con il Corpo e Sangue di Cristo.

Le modifiche introdotte nel tempo nell’iconografia sono state ugualmente dettate dai cambiamenti nella sensibilità eucaristica. Nel periodo sinodale (18°-19° secolo), la consuetudine di prendere la comunione solo una volta o più volte all’anno, infine ha prevalso nella devozione ortodossa russa. Nella maggior parte dei casi, la gente veniva in chiesa per “stare con” la liturgia e non per partecipare dei doni di Cristo Santo. Il declino della sensibilità eucaristica corrispondeva pienamente a un calo dell’arte della chiesa, che ha portato alla sostituzione dell’iconografia a un realistico dipinto “accademico”. Allo stesso tempo, l’antico canto modale è stato sostituito con il canto polifonico. Gli affreschi della Chiesa di quel periodo, che avevano solo una lontana somiglianza tematica ai prototipi antichi, sono stati gradualmente spogliati di tutte le caratteristiche secolari dell’iconografia, caratteristiche che la distingueva dall’arte secolare.

La rinascita della devozione eucaristica nei primi anni del 20° secolo e il desiderio di comunione frequente da parte dei fedeli, così come i tentativi di superare la barriera tra il clero e il popolo, sono stati i processi che hanno coinciso con la “scoperta” delle icone e con un nuovo interesse per l’iconografia tradizionale. Gli artisti della Chiesa dei primi anni del 20° secolo cominciarono a trovare il modo per far rivivere la pittura canonica delle icone. Questa ricerca continuò tra gli emigrati russi, soprattutto nel lavoro di iconografi come Padre Gregory (Krug). Ai nostri giorni essa viene compiuta nelle icone e negli affreschi dall’archimandrita Zinon e altri maestri che cercano di ripristinare le vecchie tradizioni.

Il significato mistico dell'icona

L’icona è mistica. E’ indissolubilmente legata alla vita spirituale del cristiano, con la sua esperienza di comunione con Dio e il suo rapporto con il mondo spirituale. Allo stesso tempo l’icona riflette l’esperienza mistica di tutta la Chiesa, non solo dei suoi singoli membri. L’esperienza spirituale personale di un artista non può riflettere questo mistero nelle sue icone, ma è percepito nella vita della Chiesa e verificati da essa. Teofane il Greco, Andrej Rublev e altri maestri del passato possedevano una profonda vita spirituale interiore. Ma essi non hanno dipinto “da se stessi”, le loro icone sono profondamente radicate nella tradizione della Chiesa, che abbraccia la totale esperienza secolare della Chiesa.

Molti venerati pittori di icone sono stati anche grandi contemplatori e mistici. Con riferimento a Daniel Black e Andrej Rublev, san Giuseppe di Volotsk ammette che gli “illustri pittori di icone, Daniel e il suo discepolo Andrej ..., non hanno nulla se non la virtù e lo zelo per il digiuno e la vita monastica tali da essere degni della grazia di Dio e ottenere l’amore di Dio per il loro esercizio temporale mentre la loro mente e i loro pensieri sono rivolti alla luce immateriale e divina..., il giorno della festa della Resurrezione, seduti dinanzi a tutte le venerate e divine icone e guardando incessantemente verso di loro, erano pieni di gioia e di luce divina, e quando lavoravano essi apparivano così non solo in giorni come questo ma anche in giorni non dedicati alla pittura”.

L’esperienza di contemplare la luce divina menzionata in questo testo si riflette in molte icone, sia bizantine che russe. E’ caratteristica soprattutto delle icone dipinte nel periodo dell’esicasmo bizantino (11°-15° secolo) e delle icone russe e degli affreschi (14°-15° secolo). In conformità con l’insegnamento esicasta sulla luce del Tabor e sulla Luce increata, il volto del Salvatore, della Santissima Madre di Dio e dei santi nelle icone e nei dipinti murali di quel periodo sono spesso sottolineati dal bianco di zinco, come vediamo negli affreschi di Teofane il Greco nella chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore a Novgorod. Tra le immagini diffuse in quel tempo c’è quella del Salvatore, con una veste bianca con raggi d’oro che emanano dal suo corpo – un’immagine basata sul racconto evangelico della Trasfigurazione del Signore. L’ampio uso di oro in un’icona-pittura durante il periodo esicasta è anche associato all’insegnamento sulla Luce Increata.

L’icona nasce dalla preghiera, e non ci può essere una vera icona senza la preghiera. L’archimandrita Zinon dice: “L'icona è una preghiera incarnata. Essa è creata nella preghiera e per la preghiera, la sua forza motrice è l’amore di Dio e la nostalgia per Lui come bellezza perfetta”. Come frutto della preghiera, l’icona è anche scuola di preghiera per coloro che la contemplano e pregano dinanzi ad essa. Con la sua struttura interamente spirituale l’icona dispone alla preghiera. Allo stesso tempo, la preghiera ci porta oltre l’icona, ci pone dinanzi al prototipo - il Signore Gesù Cristo, la Madre di Dio, un santo.

Ci sono casi in cui, durante la preghiera davanti ad un’icona, un uomo ha visto la persona raffigurata apparire viva. Questo si è verificato a San Silvano del Monte Athos. Secondo il suo biografo, l’archimandrita Sophrony, San Silvano ha visto il Cristo vivente “durante i vespri, nella chiesa... sul lato destro delle porte sante dove vi è un’icona del nostro Salvatore, ha visto Cristo vivo ... E’ impossibile descrivere lo stato in cui era in quel momento. Noi sappiamo dalla bocca e dagli scritti del beato Starets che in quel momento era illuminato dalla luce divina, che era stato tirato fuori da questo mondo e sollevato al cielo per mezzo dello Spirito, dove udì parole ineffabili, e che in quel momento era come avesse avuto una nuova vita dall’Alto”.

Le icone appaiono non solo ai santi, ma anche a tutti i cristiani e anche ai peccatori. La storia dell’Icona della Madre di Dio “Gioia inaspettata” racconta che “un certo uomo, un criminale, si recava ogni giorno a pregare dinanzi alla Santissima Madre di Dio”. Una volta durante una preghiera, la Madre di Dio apparve davanti a lui e lo rimproverò per la sua vita peccaminosa. In Russia icone come queste vengono definite “miracolosamente apparse”.

La questione dell’evento miracoloso e, più in generale, del rapporto tra icone e miracoli richiede una particolare attenzione. A questo punto vorrei soffermarmi su un certo fenomeno diffuso, e cioè la produzione di santa mirra o di essenze profumate dalle icone. Com’è da intendere questo fenomeno? Prima di tutto va detto che l’essudato di mirra è un fatto innegabile e ripetutamente registrato che non può essere messo in discussione. Ma un fatto è l’evento e un altro è la sua interpretazione. Quando questo fenomeno è visto come il segno di un’apocalisse o la venuta dell’Anticristo, questo non è altro che un parere privato che non ha alcuna relazione con il miracolo. Dovrei pensare che l’effusione di essenze sante dalle icone non è un cupo presagio di catastrofi imminenti, ma, al contrario, è una manifestazione della grazia di Dio che manda forza e conforto spirituale ai fedeli. Un’icona che produce mirra testimonia la presenza reale di chi è raffigurato su di essa: ci assicura che Dio, Sua Santissima Madre e i santi sono vicini a noi.

L’interpretazione teologica di questo evento richiede saggezza spirituale e solidità. Qualunque turbamento, crisi isterica o paura è inappropriata e dannosa per la Chiesa. Il perseguimento di un “miracolo al solo fine del miracolo”, in generale non è mai stato normativo per i veri cristiani. Cristo si è rifiutato di dare agli ebrei “un segno”, sottolineando che l’unico segno vero è proprio la sua discesa verso la tomba e la sua risurrezione.

Il significato etico dell’icona

In conclusione, vorrei dire alcune parole sul significato etico dell’icona, nel contesto di un confronto tra il cristianesimo e il cosiddetto umanesimo secolare “post-cristiano”.

“Lo stato attuale del cristianesimo nel mondo è abitualmente rapportato alla sua situazione nei primi secoli della sua esistenza”, scrive Lèonide Ouspensky. “Ma mentre nei primi secoli, il cristianesimo era venuto dopo un mondo pagano, nei nostri giorni si trova davanti a un mondo scristianizzato che si è sviluppato sul terreno dell’apostasia. E ora proprio di fronte a questo mondo, l’Ortodossia è chiamata a testimoniare la Verità che si trasmette attraverso la sua liturgia e l’icona. Di qui la necessità di realizzare ed esprimere il dogma della venerazione delle icone come applicato alla realtà moderna, alle esigenze e alle domande dell’uomo moderno”.

Il mondo laico è governato dall’individualismo e dall’egoismo. Le persone sono disunite, ognuno vive per se stesso e molti soffrono di solitudine cronica. Il concetto di sacrificio e la disponibilità a dare la vita per il bene degli altri sono estranei all’uomo moderno. I sentimenti di reciproca responsabilità si sono dissolti solo per essere sostituiti da un’istintiva auto-conservazione.

Il Cristianesimo, tuttavia, parla all’uomo come membro di un singolo organismo conciliare responsabile non solo di se stesso ma anche verso Dio e verso gli altri. La Chiesa lega le persone in un corpo il cui capo è il Dio-Uomo Gesù Cristo. Dal punto di vista escatologico, l’unità del corpo dei fedeli è il prototipo di questa unità a cui è chiamata tutta l’umanità. Nel Regno di Dio, tutti saranno uniti con Lui e con gli altri dallo stesso amore che unisce le tre Persone della Santissima Trinità. L’immagine della Santissima Trinità rivela all’umanità l’unità spirituale a cui è chiamata. E la Chiesa, nonostante la disunità, l’individualismo o l’egoismo, non si stancherà di ricordare al mondo questa altissima vocazione.

Il conflitto tra cristianesimo e mondo scristianizzato è particolarmente evidente nel campo della morale. Ciò che prevale nella società secolare è uno standard liberale morale che rifiuta l’esistenza di una norma assoluta etica. In base a tale norma, ciò che non è illegale o non viola i diritti degli altri è ammissibile. Qualsiasi nozione di peccato è assente dal vocabolario laico, ognuno decide per sé il suo criterio morale. La morale laica ha ripudiato l’idea tradizionale di matrimonio e la fedeltà coniugale e ha desacralizzato gli ideali della maternità e della procreazione. Si oppongono a questi venerabili ideali l’“amore libero”, l’edonismo e la propaganda del vizio e del peccato.

In netto contrasto con tutte le moderne tendenze, la Chiesa continua a predicare, così come ha fatto per secoli, la castità e la fedeltà coniugale e insiste sulla inammissibilità dei vizi innaturali. La Chiesa non solo condanna l’aborto come un peccato capitale, ma esso equivale anche all’omicidio. La Chiesa ritiene che la maternità sia la più alta vocazione di una donna. La Chiesa ortodossa glorifica la maternità nella persona della Madre di Dio che essa onora come “più onorabile dei cherubini e senza confronto più gloriosa dei Serafini”. L’immagine della Madre con il Bambino in braccio delicatamente aggrappato alla sua guancia è l’ideale che la Chiesa ortodossa offre ad ogni donna cristiana. Questa immagine, presente in tutte le chiese ortodosse in una varietà infinita di tipi, possiede grande fascino spirituale e potere morale. E fintanto che esiste la Chiesa, essa, a prescindere dallo spirito del tempo, ricorderà alla donna la sua chiamata alla maternità e alla gravidanza.

La morale moderna ha anche desacralizzato la morte, trasformandola in un rito lugubre privo di qualsiasi contenuto positivo. La gente ha paura della morte, se ne vergogna, evita di parlarne. Alcuni preferiscono lasciare la vita volontariamente, senza attendere una fine naturale. L’eutanasia, il suicidio commesso con l’aiuto dei medici, sta diventando sempre più popolare. Coloro che vivono una vita senza Dio muoiono senza meta e insensatamente, come vivevano, spiritualmente vuoti e abbandonati da Dio.

Un credente ortodosso chiede a Dio, in ogni servizio una fine cristiana della sua vita, senza vergogna e pacifica. Egli prega per la liberazione dalla morte improvvisa in modo che possa pentirsi e morire in pace con Dio e con i suoi vicini. La fine della vita di un cristiano non è la morte, ma un passaggio alla vita eterna. Un richiamo visibile di questo è l’icona della Dormizione della Santissima Madre di Dio, in cui Ella è raffigurata sdraiata sul suo letto di morte circondata dagli apostoli e dagli angeli, la sua anima è simboleggiata da una bambina tra le braccia di Cristo. La morte è un progresso verso una nuova vita, più bella di quella sulla terra. Oltre la soglia della morte Cristo incontra l’anima cristiana: è questo il messaggio generato dall’immagine della Dormizione. E la Chiesa, a dispetto di tutte le idee materialiste della vita e della morte, proclamerà sempre queste verità per l’umanità.

Si possono produrre molti altri esempi di icone che proclamano particolari verità morali. In sostanza, ogni icona porta una potente carica morale. L’icona ricorda all’uomo moderno che, a parte il mondo in cui vive, vi è anche l’altro mondo, a parte i valori predicati dall’umanesimo irreligioso, ci sono altri valori spirituali, a parte le norme etiche stabilite dalla società laica, ci sono altri standard e norme.

La difesa delle norme di base, di etica cristiana, è diventato uno dei compiti più importanti per noi oggi. Non è solo una questione di missione, ma anche una questione di sopravvivenza della civiltà cristiana. Perché senza norme assolute in una comunità umana che si trova in una situazione di totale relativismo, dove ogni principio può essere messo in discussione e abolito, la società è in ultima analisi, destinata a completare la degradazione.

Nella lotta per preservare gli ideali del Vangelo nelle anime umane, nella lotta contro le forze del male che sono così complesse e molteplici che a volte non si basano neppure sulla logica razionale, ciò che può venire in nostro aiuto è la bellezza delle opere straordinarie dell’arte autentica. Nelle parole di Padre Alexander, “Io credo che l’arte (dal “punto di vista cristiano”) non solo è possibile e, per così dire, giustificata, ma anche che solo l’arte può essere “l’unica cosa necessaria” nel cristianesimo e forse che solo l’arte è giustificata. Possiamo riconoscere Cristo ovunque - nel Vangelo (un libro), in un’icona (pittura), nella Liturgia (la pienezza dell’arte)”.

Per concludere, vorrei dire alcune parole circa l’importanza eccezionale dell’icona nell’Ortodossia e la sua testimonianza davanti al mondo. Nella mente di molti, soprattutto in Occidente, l’Ortodossia si identifica prima di tutto con icone bizantine e dell’antica Russia. Pochi hanno familiarità con la teologia ortodossa, ancora più pochi conoscono la dottrina sociale della Chiesa ortodossa, e ancora meno entrano nelle chiese ortodosse. Ma riproduzioni di icone bizantine e russe possono essere viste in chiese ortodosse, cattoliche, protestanti e anche in ambienti non cristiani. L’icona è un predicatore silenzioso ed eloquente dell’ortodossia non solo all’interno della Chiesa, ma anche in un ambiente che è estraneo e talvolta anche ostile ad essa. Secondo Lèonide Ouspensky, “mentre nel periodo dell’iconoclastia la Chiesa ha lottato per l’icona, nel nostro tempo è l’icona che lotta per la Chiesa”. L’icona lotta per l’Ortodossia, la Verità e la Bellezza. In definitiva, però, essa lotta per l’anima umana, perché è nella salvezza delle anime lo scopo e il significato dell’esistenza della Chiesa.

Il Il presidente del Dipartimento per le Relazioni ecclesiastiche esterne (Decr) del Patriarcato di Mosca, metropolita Hilarion di Volokolamsk.


Padre Padre Alexander Schmemann


Icona Icona della Risurrezione


Icona Icona della Natività


Ultima Ultima Cena


San San Giorgio il Vittorioso


Icona Icona della Crocifissione


Madre Madre di Dio del Segno


Venezia Venezia - Basilica di san Marco. Cupola della Genesi (VIII sec.)


Ravenna Ravenna - Battistero Neoniano (VI sec.)


Pentecoste Pentecoste


Trasfigurazione Trasfigurazione (Teofane il Greco)


Andrej Andrej Rublev


Mosca Mosca - Il metropolita Hilarion alla mostra su Andrej Rublev nel 650° anniversario dell'artista


Trinità Trinità di Andrej Rublev


Icona Icona della Madre di Dio di Vladimir


La La Santa Dormizione


Giudizio Giudizio Universale