L'ignoranza di Dio. Un forma di follia spirituale secondo i Padri

Nell’Annunciazione il divino si è unito con l’umano: la mente e la volontà divine si sono unite con la mente e la volontà umane. È qui che il genere umano ha liberamente accettato la missione di salvezza che Dio ha voluto compiere per tutte le persone.
Dio avrebbe potuto salvare la razza umana senza la nostra partecipazione, nello stesso modo in cui, senza la partecipazione delle persone, ha creato il mondo. Ma lui voleva che la libertà umana non fosse compromessa in una così grande causa, come la salvezza. Perciò noi, assieme alla Madre di Dio, accettiamo il dono che Dio ha fatto a tutta l’umanità attraverso Suo Figlio.
Tutta la storia nel mondo è costituita da una combinazione sorprendente e misteriosa della libertà umana e della presenza di Dio. Coloro che ignorano questo incorrono in un grave errore. Siamo in grado di trasformare in meglio il mondo e la nostre anime solo quando lo sforzo umano è associato al potere divino. Per questo Cristo è venuto nel mondo.

+ Kirill
Patriarca di Mosca e di tutta la Russia

Per i Padri[1] il termine “follia” (mania, môria) e i termini che vi si avvicinano non designano solamente i disturbi psichici risultanti da certe affezioni somatiche o dall’azione diretta dei demoni[2]. Designano pure determinati stati o attitudini patologiche d’ordine spirituale[3].
Secondo essi, l’incredulità in Dio, la negazione di Dio, come tutte le forme d’ignoranza di Dio costituiscono delle forme di follia secondo il significato di quest’ultima accezione. L’opinione del Salmista è, a tal riguardo, senz’ambiguità: “L’insensato (aphrôn) ha detto in cuor suo: ‘Dio non esiste’”. (Sl 13,1). Gli effetti patologici dell’ignoranza di Dio sono sufficientemente numerosi per giustificare tale qualificazione[4]. San Niceta Stethatos ne dà una breve idea: “L’ignoranza è una calamità, anzi, più d’una calamità. Essa è veramente significata dalle tenebre palpabili (cfr. Es 10, 21). Oscura le anime nelle quali si trova, divide profondamente il pensiero e impedisce all’anima d’unirsi a Dio. Tutto quanto si congiunge con essa è disordine e sragionevolezza poiché essa rende l’intero uomo irragionevole ed insensibile […]. Quando essa si espande e s’ispessisce diviene per l’anima che le è sottomessa un abisso infernale nel quale risiede ogni tormento, ogni dolore, ogni tristezza, ogni gemito”[5].
L’idea che l’ignoranza di Dio è una forma di follia era già presente presso gli stoici e presso Platone che scriveva: “Bisogna ammettere che la malattia propria dell’anima è la demenza ma esistono due tipi di demenze: una è la follia, l’altra è l’ignoranza”[6]. Per un verso, i Padri si situano, nella medesima prospettiva. Clemente d’Alessandria dà chiaramente il suo acconsentimento a “quei bambini dei filosofi” che designano l’ignoranza come una sorta di follia (mania eidos)[7], e molti Padri oppongono la sapienza all’ignoranza “fuorviante”[8].

1. La “sapienza” fuorviante
Ma non ogni conoscenza e sapienza preservano l’uomo dall’errore. Esistono delle pretese sapienze che traviano e trascinano l’intero uomo come l’ignoranza, poiché esse stesse sono effettivamente ignoranza[9]. In tal modo, la saggezza del mondo è saggezza solo agli occhi del mondo; agli occhi di Dio è follia, come afferma san Paolo: “È scritto: “Io distruggerò la saggezza dei saggi, annienterò l’intelligenza degli intelligenti”. Dov’è il saggio? Dov’è il ragionatore di questo secolo? Non ha Dio colpito con la follia (emôrasen) la saggezza del mondo?” (1 Cor 1, 19-20). La saggezza che è follia è la conoscenza profana, quella dell’uomo decaduto, che è umana non divino-umana, che s’acquisisce con lo studio e la riflessione non con la rivelazione e con la grazia; saggezza vana ed inutile come sottolinea san Basilio considerando gli studi della sua gioventù: “Ho perso praticamente tutta la mia gioventù nel vano lavoro al quale mi applicavo per acquisire gli insegnamenti della sapienza che è stata dichiarata follia da Dio”[10].
La sapienza del mondo è follia poiché “il mondo, attraverso il mezzo della sapienza, non ha assolutamente conosciuto Dio nella saggezza di Dio” (1 Cor 1, 21), ossia non ha conosciuto Dio come il Cristo lo fa conoscere nello Spirito Santo a coloro che ne sono degni.
Una tale sapienza, anche quando vuole conoscere Dio, fuorvia l’uomo poiché non gli fa conoscere Dio secondo la luce divina stessa, cioè secondo il Cristo che è la vera “luce del mondo” (Lc 1, 79; 2, 32; Gv 1, 4.9; 8, 12; 9, 5); non gli fa conoscere Dio così com’Egli è veramente come solo il Suo Figlio Gesù Cristo può rivelargli, poiché “nessuno ha mai visto Dio; il Figlio di Dio, che è nel seno del Padre, è Colui che Lo ha fatto conoscere” (Gv 1, 18). È il Verbo di Dio che, incarnandoSi, è venuto ad insegnare agli uomini la vera sapienza, la sapienza nello Spirito, nei riguardi della quale pure i sapienti insegnamenti dei profeti non erano che “ombra delle cose future” (Col 2,17). Alla luce del Suo insegnamento, come un sole che sorgendo manifesta uno spettacolo desolato nascosto dalla notte, ogni altra saggezza si è rivelata falsa apparendo come una pseudo-saggezza. “Quando la sapienza è divenuta follia - si domanda sant’Atanasio - se non quando la vera saggezza di Dio s’è mostrata sulla terra?”[11]. E questa saggezza, la sola vera, portata dal Cristo,”rende veramente folli per la sua assenza coloro che non vi attaccano il loro spirito” afferma san Gregorio Palamas[12].
Gli Apostoli e i Padri possono così ritorcere verso i saggi pagani le accuse di follia che questi ultimi avevano l’abitudine di lanciare contro i cristiani[13]. San Simeone il Nuovo Teologo scrive in questo senso: “Coloro che sono elevati da Dio passano per folli agli occhi dei discepoli degli uomini saggi di questo secolo. In verità sono loro i folli (môroi), imbavagliati come sono da quella sapienza che Dio ha reso folle (emôrasen) secondo quanto dice il divino Apostolo, e che la sua ispirata voce ha conosciuto come terrestre, carnale, diabolica, piena di gelosia e contraddizione. Quelle persone sono fuori dalla luce divina, non possono vedere le meraviglie che essa contiene; credono che coloro che hanno questa luce, che vedono e apprendono quanto essa contiene, errino, mentre sono loro stessi a sbagliarsi senza aver potuto gustare i beni ineffabili di Dio”[14]. Clemente d’Alessandria combatte ugualmente l’accusa di follia lanciata contro i cristiani e afferma similmente che sono coloro che non hanno creduto alla Verità donata dal Cristo ad essere stati rivelati folli da essa: “La venuta del Salvatore ha suscitato una generazione non di folli (môroi) […] ma, al contrario, di uomini pieni di senso (sunetoi) […]. E, per quest’adesione volontaria di coloro che hanno risposto all’appello, gli increduli si sono trovati messi da parte e segnalati come spogli di senso (asunetoi), infedeli e folli (môroi)”[15].

2. La follia della falsa conoscenza di Dio
Sono considerate una forma di follia dai Padri non solo tutte le forme di conoscenza o di sapienza che ignorano Dio, ma ancora quelle che non Lo conoscono qual Egli è, nella sua vera realtà, ovvero non certo nella sua Essenza - che è assolutamente inaccessibile -, ma come Cristo La rivela agli uomini e come può essere conosciuta nella Chiesa. È dunque folle anche ogni conoscenza che può nascere nel quadro del Cristianesimo ma che non è giusta, non è ortodossa. È per questo che si può spesso vedere qualificare gli eretici come “folli” dai Padri e ogni loro eresia tacciata come “follia”[16].
In tutti questi casi non si tratta d’un uso semplicemente metaforico dei vocaboli designanti la follia: la non conoscenza di Dio o la sua conoscenza eterodossa sono follia in senso proprio e non solamente in senso figurato e analogico, poiché esse costituiscono una visione falsa, deforme, illusoria, in qualche modo delirante, della realtà. Esse meritano ancor meglio d’essere così qualificate rispetto a qualsiasi altra forma di conoscenza delirante, poiché dal momento che Dio è la realtà suprema (Cfr. Es 3, 14), la sua non conoscenza non può che avere delle conseguenze ancor più gravi di quelle comportate da qualsiasi altra realtà. Ad esempio, a proposito di coloro che negano la Provvidenza divina, san Giovanni Crisostomo può scrivere: “Coloro che pretendono che il sole è freddo e scuro offrirebbero perciò stesso una prova evidente di follia; ugualmente coloro che mettono in dubbio la provvidenza si espongono ancor più all’accusa di demenza visto che il sole è meno brillante della Provvidenza che splende”[17]. D’altra parte Dio è l’origine e il fondamento di ogni realtà, la sua ragione d’essere nel doppio senso di causa e di fine, come pure il senso dell’esistenza umana. Perciò la sua conoscenza errata non potrà che perturbare gravemente fino al punto da rendere deliranti e folli tutte le conoscenze che l’uomo potrà acquisire sul mondo e su lui stesso.
Soprattutto se l’uomo ha di Dio una conoscenza eterodossa non potrà glorificarLo come conviene (ricordiamo che “ortodossia” significa etimologicamente e nel suo primitivo senso: retta e giusta glorificazione, ossia detto diversamente, adeguata, conforme alla realtà divina nella misura in cui ci è consentito conoscerla). Anche l’eresia è, di fatto, separazione da Dio e molti Padri la considerano per tale ragione come il più grande peccato esistente[18]. Anche per questa ragione sant’Antonio il Grande “stimava e dichiarava che l’amicizia e il commercio con gli eretici fanno male all’anima e la rovinano”[19].

3. La follia del peccato originale e le sue conseguenze
I Padri utilizzano sovente il vocabolo di “follia” per designare ugualmente la situazione dell’umanità seguita alla follia primordiale che fu il peccato originale, per qualificare lo stato di peccato in cui si trovano gli uomini separati da Dio, stato nel quale l’ignoranza gioca un ruolo essenziale[20]. “Siamo un popolo folle e insensato”, non esita a scrivere Origene quando spiega le ragioni dell’incarnazione di Cristo[21]. Clemente d’Alessandria evoca “lo sragionamento” e “la follia degli uomini” che rifiutano Dio e nota che san Paolo “accusa [questa] follia degli uomini” quando scrive: “Vi supplico nel Signore, perché cessiate di errare come errano i pagani nella vanità del loro spirito; essi hanno l’intelligenza oscurata e sono estranei alla vita di Dio per l’ignoranza che è in loro e per l’indurimento del loro cuore” (Ep 4, 17-19)[22].

4. La follia dell’idolatria
Gli uomini avrebbero potuto uscire dalla loro follia e manifestare il loro buon senso ritornando a Dio che, dopo la caduta di Adamo, non ha cessato di lanciar loro dei richiami attraverso la voce dei Suoi profeti. “Dai cieli, nota il Salmista, il Signore Si volge verso i figli di Adamo per vedere se ce n’è uno sensato, uno che cerca Dio” (Sl 13,2). Ma al posto di questo, essi si sono ancor più rinforzati nella loro follia adorando falsi dei, come sottolinea san Paolo: pur avendo la possibilità di conoscere Dio nelle Sue opere, “essi non Gli hanno reso gloria né azioni di grazie come a un Dio, ma hanno perso il senso nei loro ragionamenti e il loro cuore senza intelligenza si è ottenebrato; nella loro pretesa di saggezza sono divenuti folli (emôranthèsan) e hanno cambiato la gloria del Dio incorruttibile con una rappresentazione” (Rm 1, 21-23).
Al seguito di san Paolo, i Padri sono unanimi nel qualificare ugualmente come “follia” il paganesimo[23], particolarmente nelle sue forme idolatriche[24]. “Gli uomini, nella loro follia, disprezzano il dono che gli è stato loro fatto, si allontanano da Dio, e sporcano talmente la loro anima che non solo dimenticano perfino l’idea di Dio, ma costruiscono altri dei al Suo posto. Fanno degli idoli al posto della verità, e preferiscono il nulla al vero Dio, adorando la creatura al posto del Creatore”[25], scrive sant’Atanasio di Alessandria. E san Giovanni Crisostomo nota: “Lasciando da parte il Creatore, [essi] hanno adorato il cielo stesso: fu a seguito della loro imbecillità e della loro demenza”[26]. Clemente d’Alessandria, da parte sua, rimarca a proposito degli idolatri: “È solo la follia, mi sembra, che riempie una vita consacrata con un tale ardore al culto della materia”[27].
La follia esiste ancora quando, ciò che è il vero Dio la Realtà vera e la Verità in tutta la sua realtà, rimane sconosciuto. Al posto di riconoscerLo e di adorarLo come conviene, gli uomini hanno attirato e imprigionato lo spirito con gli esseri di questo mondo, spingendosi fino al punto di adorare alcuni di loro. Allora si volgono proprio verso il nulla poiché le creature, considerate indipendentemente dal loro Creatore (che costituisce il loro principio e il loro fine, e a tutti i riguardi la loro ragione d’essere), non sono più nulla; esse nascondono Dio mentre dovrebbero rivelarLo. Al posto di segnalare il Creatore presente in esse attraverso i loro logoi (le ragioni spirituali secondo le quali Egli le ha create e che definiscono a loro volta il loro essere e il loro dover essere) e attraverso le Sue energie alle quali Egli dona loro partecipazione a differenti gradi, al posto d’essere un richiamo a renderGli grazie e ad elevarsi verso di Lui[28], la realtà sensibile è chiusa su essa stessa dall’uomo che lascia credere che essa sia la sola ad esistere ottenebrando il suo spirito e nascondendo la vera luce. A partire da qui l’uomo si dispone a vivere in una realtà che, per effetto del suo peccato, non è che illusione[29]. L’attitudine idolatrica con la quale l’uomo nega Dio, sostituisce la realtà materiale e sensibile alla realtà intelligibile e spirituale ed erige, così, le creature a idoli (termine che potrebbe applicarsi oggi a ogni realtà che è per l’uomo oggetto di culto nel senso più ampio del termine, ma che pure concentra la sua attenzione e la sua attività e che gli nascondono Dio), istituendo una percezione delirante della realtà. Con una tale attitudine, Colui che è per eccellenza (cfr. Es 3, 14) è considerato come non esistente e colui che non è se non grazie a Lui (ossia chi ottiene da Lui non solo la sua esistenza ma il suo valore e il suo senso) è considerato come esistente assolutamente e come avente per se stesso un valore e un senso. I Padri vedono in ciò una vera follia. Sant’Atanasio di Alessandria, ad esempio, scrive: “Dal momento che nulla sussiste al di fuori di Dio, visto che il cielo e la terra e tutti gli esseri che essi contengono sono sospesi a Lui, gli uomini nella loro follia hanno respinto la conoscenza e la pietà nei Suoi riguardi onorando quanto non è al posto di quanto è e, al posto di Dio che è realmente, hanno divinizzato il nulla, “adorando la creatura al posto del Creatore” (Rm 1, 25). Questa è follia ed empietà. È come se qualcuno ammirasse un’opera e non l’artista che l’ha fatta, ammirasse gli edifici di una città e disprezzasse l’architetto, o facesse l’elogio di uno strumento musicale e respingesse colui che l’ha costruito e accordato. Folli e ciechi! Com’essi potrebbero conoscere un edificio, una nave, una lira se non esistesse un carpentiere per costruire la nave, un architetto per edificare l’edificio, un artista per fabbricare la lira? Colui che pensasse così sarebbe folle al di là di ogni follia; ugualmente non mi pare che abbiano uno spirito sano coloro che non riconoscono Dio, che non adorano il Verbo, il Salvatore di tutti, Nostro Signore Gesù Cristo che per il Padre ordina tutto, contiene tutto e provvede a tutto”[30].
Adorando (in senso stretto e in senso ampio) la realtà sensibile gli uomini vi escludono Dio. Facendo così si rendono, in un certo modo, nemici di Dio. E coloro che sono nemici di Dio lo sono, nota Origene, “a causa della malattia della loro anima e dell’irragionevolezza della loro ragione naturale”[31]. Non si potrebbe essere più espliciti nell’assimilare le attitudini atee ed idolatriche a una forma di follia.

5. La guarigione attraverso la fede
È attraverso la fede che l’uomo può trovare la guarigione dallo stato di follia in cui è posto non solo a causa dell’ignoranza ma anche dalla cattiva conoscenza di Dio. Questa fede comprende molteplici gradi, dal primo slancio verso Dio o la prima adesione alla Sua parola, passando attraverso la fedeltà all’insegnamento della Chiesa (che, in quanto corpo di Cristo, fa conoscere al fedele in modo vivente ciò che Egli è), e attraverso i differenti stadi di contemplazione (che sono raggiunti in proporzione della purezza dell’anima acquisita con la pratica dei comandamenti secondo la quale l’uomo è purificato dalle passioni e vive secondo le virtù), fino alla più alta conoscenza di Dio che il Cristo rivela nello Spirito Santo a colui che ne è degno. Questi differenti gradi sono altrettante tappe della guarigione progressiva dell’uomo e l’ultima, una volta raggiunta, testimonia che l’uomo ha ritrovato la perfetta sanità, quella che Adamo possedeva originalmente, quella che Cristo è venuto a ridonare agli uomini per permettere loro di partecipare con tutto il loro essere alla pienezza dei Suoi beni[32].

Note

[1] La presente traduzione è tratta dal libro Larchet J.-C., Le chrétien devant la maladie, la souffrance et la mort, Les éditions du Cerf, Paris 2002.
[2] Vedi il nostro libro Thérapeutique des maladies mentales, Éd. Du Cerf, Paris, 1992.
[3] Vedi il nostro libro Thérapeutique des maladies mentales, Éd. Du Cerf, Paris, 2004.
[4] Vedi Ibid., p. 49-65.
[5] Centurie, III, 19.
[6] Timeo, 86 b.
[7] Protreptica, XIII, 122, 1.
[8] Vedi ad esempio Origene, Contro Celso, III, 72; Tertulliano, Sull’anima, XXIX. Cfr. Origene, ibid.
[9] Cfr. Origene, ibid.
[10]Lettera, CCXXIII, 2.
[11]Sull’incarnazione del Verbo, XLVI.
[12]Triadi per la difesa dei santi esicasti, I, 1, 21.
[13]Cfr. 1 Cor. 1, 18.23; At 26, 24. Origene, Contro Celso, III, 73-74; Clemente d’Alessandria, Stromati, I, XVIII, 88.
[14]Capitoli teologici, gnostici e pratici, III, 85.
[15]Stromati, I, XVIII, 88.
[16]Vedi, tra gli altri: Erma, Il Pastore, 72, 5; Ireneo di Lione, Contro le eresie, V, 9, 1; III, 3, 1; Ippolito di Roma, Confutazione di tutte le eresie, PL 16, 3017B; 3323A; Atanasio d’Alessandria, Lettera sul pensiero di Dionigi, XXVI; Lettera enciclica ai vescovi di Egitto e di Libia, PG 25, 580A; Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, VI, 24; Gregorio di Nazianzo, Discorsi, XXI, 13; Epifanio di Salamina, Panarion, LVI, 1, 4; Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, XIII, 1; Girolamo, Contro Giovanni di Gerusalemme, XXV; Lettere, XXXVIII; Agostino d’Ippona, Sulle eresie, XLVI; Teodoreto di Cirro,Storia dei monaci di Siria, III,16; Lettere, LXXXII; CIV; Cirillo di Scitopoli, Vita di sant’Eutimio, XII.
[17]Omelie sui demoni, I, 6.
[18]Vedi ad esempio: Apoftegmi, serie alfabetica, Agathon, 5; Giovanni Climaco, La Scala, XV, 46.
[19]Atanasio d’Alessandria, Vita di Antonio, LXVIII. Vedi anche Apoftegmi, serie alfabetica, Teodoro di Ferma, 4.
[20]Vedi il nostro libro Thérapeutique des maladies spirituelles, p. 49 s.
[21]Omelie sul Cantico dei Cantici, II, 3.
[22]Protreptica, IX, 83, 1; 84, 1.
[23]Vedi Clemente di Alessandria, Protreptica, II, 11, 2; 3; XI, 118, 5; Origene, Contro Celso, III, 25.
[24]Vedi ad esempio: Clemente di Alessandria, Protreptica, X, 96, 4; 99, 1; Atanasio di Alessandria, Contro i pagani, VII; Sull’incarnazione del Verbo,XVI; Storia dei monaci di Egitto, Vita di Simeone l’Anziano, II; Costituzioni apostoliche, V, 15, 3. Teodoreto di Cirro, Storia dei monaci di Siria, I, 4; VI, 4; Discorsi sulla Provvidenza, II, PG 83, 580A.
[25]Sull’incarnazione del Verbo, II.
[26]Omelie sui demoni, I, 6.
[27]Protreptica, X, 99, 1.
[28]Vedi Massimo il Confessore, Questioni a Talassios, Prologo.
[29]Vedi Gregorio di Nissa, Vita di Mosè, II, 203.
[30]Contro i pagani, XLVII.
[31]Contro Celso, IV, 19.
[32]Altri aspetti della patologia della conoscenza e le modalità di guarigione sono esaminati nel nostro libro Thérapeutique des maladies spirituelles,pp. 49-65 e 761-815.

Icona Icona dell'Apostolo Paolo (XVII sec.)


Annunciazione Annunciazione (Andrej Rublev, 1405)