«L’icona delle icone». L’eredità spirituale di san Sergio di Radonež

Circa vent’anni dopo la morte di san Sergio di Radonež, intorno al 1422, il beato Nikon, igumeno del monastero di Radonež, chiese ad Andrej Rublëv di scrivere, a lode del padre Sergio, un’icona della Santa Trinità, da porre sulle porte regali dell’iconostasi della nuova chiesa dedicata alla Trinità Vivificante, costruita al posto della chiesa originaria, che era stata bruciata dai Tartari.
Rublëv faceva parte della comunità del monastero di san Sergio, situato nel bosco di Radonež. Egli apprese dalla comunità l’amore per la Santa Trinità, per l’igumeno Sergio, suo padre spirituale, nonché la cura per il monastero e la patria.
In questa santa dimora Andrej cominciò a sviluppare il suo talento naturale, l’inclinazione per la pittura, assieme al monaco Danijl Cernij, suo primo maestro, con il quale Rublëv pregava e contemplava le icone, preparando il suo ministero di iconografo.
Egli accrebbe il talento donatogli da Dio con un lavoro instancabile e con il cammino dell’ascesi spirituale, fino a raggiungere «l’armonia della composizione e del disegno, la purezza e la leggerezza delle tinte, la musicalità delle figure e la loro interiorità profondamente religiosa... Nelle sue opere la profondità della rivelazione teologica del tema è rivolta al cuore di chi prega, di chi contempla l’icona» (A. Trubacev).
L’icona della Trinità di Rublëv si inserisce nella grande tradizione iconografica trinitaria.
Al tempo di Rublëv la Trinità veniva rappresentata sulla traccia del racconto biblico della Genesi (18,1-15), nel quale Abramo ospita i tre angeli pellegrini, apparsi a lui e a Sara per comunicare la promessa divina di una discendenza. Le altre icone bizantine e russe presentavano questo avvenimento con tutti i personaggi e dettagli dell’accoglienza e del pasto consumato dagli angeli ospiti.
I Padri della Chiesa cominciarono a ravvisare negli angeli le tre Persone della Santa Trinità. Così vennero raffigurate già in Santa Maria Maggiore a Roma (V sec.) e in San Vitale a Ravenna (VI sec.). A Bisanzio e poi in Russia conservarono questa tradizione.
Rublëv libera la composizione dai dettagli superflui e concentra l’attenzione di colui che osserva sul profondo tema trinitario dell’icona, dando ad ogni elemento il valore sacramentale del simbolo.
Egli sicuramente aveva studiato i temi biblici riguardanti Abramo e le diverse interpretazioni dei Padri, per arrivare ad una interpretazione puramente neotestamentaria della Santa Trinità.
L’obbedienza di Abramo, fedele a Dio fino all’accettazione del sacrificio del figlio Isacco, diventa l’obbedienza del Figlio Cristo a Dio Padre. Il Padre deve consegnare alla morte il Figlio e il Figlio deve vuotare questo calice.
L’icona della Trinità di Rublëv diventa il modello canonico della rappresentazione della Santa Trinità. Nel 1551, il Concilio dei Cento Capitoli di Mosca raccomandava agli iconografi di dipingere le icone della Trinità basandosi su questo modello, che definì «l’icona delle icone».
Come ogni icona, anche questa è scritta su una struttura geometrica precisa, nella quale ogni elemento ha una proporzione stabilita rispetto agli altri e trova il suo posto secondo il suo significato e il suo valore simbolico.
Questa struttura dà un equilibrio ed un’armonia a tutta la raffigurazione.
Tutta la composizione dell’icona è costruita sulla croce, che costituisce la struttura geometrica principale; l’asse verticale congiunge l’albero, la testa dell’angelo centrale, la coppa ed il rettangolo dei martiri.
Gli angeli sono racchiusi dentro un cerchio che indica pienezza e perfezione e sottolinea la circolarità degli sguardi d’Amore delle Tre Persone. La mano dell’angelo centrale è il centro della circonferenza che raccoglie le tre teste. Anche la coppa, con la testa dell’agnello, posta sopra l’altare, è iscritta in un cerchio. La testa dell’angelo centrale forma la punta del triangolo, la cui base si colloca sulla linea inferiore della tavola-altare.
Il secondo triangolo è rovesciato: la sua base superiore posa sulle teste degli angeli laterali e contiene nel vertice inferiore la fessura rettangolare dell’altare, luogo delle reliquie dei martiri. La coppa del sacrificio di Cristo è offerta sui corpi offerti dei suoi fratelli.
Lo spazio compreso tra i due angeli laterali assume la forma di un calice che sale dal basso: il Padre e lo Spirito Santo sono coloro che contengono il Corpo di Cristo ed il Suo Sangue.
L’angelo di sinistra, il Padre, indossa un mantello color lilla sopra una tunica azzurra, simbolo della Sua divinità. Il lilla è un colore sfumato, evanescente, quasi trasparente, segno del mistero e della trascendenza.
Il suo mantello è appoggiato sulle due spalle, a differenza del Figlio e dello Spirito, perché Egli non è inviato, ma invia gli altri due.
Questo suo invio è indicato anche dal piede sinistro, che sembra iniziare un passo di danza.
Tutto converge verso di lui, come verso la sorgente: gli altri due angeli, la roccia, la casa, l’albero. È statico, diritto, perché questa persona è origine a se stessa, è il segno della maestà ed il riferimento per gli altri due angeli.
Il gesto della mano e lo sguardo sembrano affidare una missione al Figlio che l’accoglie, curvo, in senso di consenso. Le Sue mani non toccano la terra-altare, ma la benedice con le due dita alzate della mano destra; Egli non è nel mondo. Il capo inclinato indica che Egli raccoglie l’offerta amorosa del Figlio.
L’angelo centrale, il Figlio, indossa la tunica ocra del colore della terra, simbolo della natura umana assunta nell’Incarnazione; il mantello azzurro è segno della natura divina ed è appoggiato solo su una spalla, perché Egli è inviato dal Padre. La stola gialla indica la missione vittoriosa del Cristo «sacerdote», che ha dato
se stesso per la salvezza del mondo ed è risorto.
Il Figlio è appena salito al cielo e sta comunicando con il Padre riguardo alla missione che ha compiuto. Il suo corpo ricurvo e lo sguardo d’Amore rivolto verso il Padre indicano l’accettazione e la docilità alla volontà paterna.
La sua mano destra, appoggiata alla terra-altare, è la più vicina alla coppa dell’offerta, perché Egli è quell’offerta simboleggiata dalla testa dell’agnello; la mano riproduce il gesto
di benedizione del Padre e l’atto di appoggiarla alla terra-altare indica la sua discesa nel mondo, attraverso l’Incarnazione. Le due dita sono appunto il simbolo della sua duplice natura: Egli è pienamente Dio e pienamente uomo.
L’angelo di destra, lo Spirito Santo, indossa sopra la tunica azzurra, simbolo della sua divinità, un mantello verde acqua che è il colore della vita, della crescita e fertilità.
Nel campo spirituale il verde è simbolo della forza vivificante dello Spirito, che ha resuscitato Cristo ed ha comunicato al mondo
la pienezza del significato della Resurrezione.
Egli è colui che dà vita. Questo angelo ha l’espressione più riservata delle tre persone.
La sua figura è più piegata sulla mensa, in atteggiamento di ascolto, umiltà e docilità. Ci rivela un aspetto nuovo dell’Amore, tipicamente femminile: l’accoglienza e la custodia. La sua mano cadente sulla terra-altare indica la direzione della benedizione: il mondo cui lo Spirito dona Vita.
Lo Spirito sta partecipando profondamente al dialogo divino ed è pronto per essere inviato nel mondo a continuare l’opera del Figlio.
Il mantello appoggiato solo su una spalla ed il piede, che sta rispondendo alla danza iniziata dal Padre, sono simboli del suo accingersi a partire per la missione affidatagli: «Quando però verrà lo Spirito (dice Gesù), Egli vi guiderà alla verità tutta intera... dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,13).
Dietro il Padre si vede la casa di Abramo, divenuta tempio, dimora del Padre e simbolo della Chiesa, sua figlia, perché «corpo» di Cristo, secondo la teologia paolina.
La quercia di Mambre è simbolo dell’albero della vita: quel legno della croce sul quale il Cristo ha offerto la propria vita per la salvezza dell’umanità. La roccia-monte dietro lo Spirito è insieme simbolo di protezione, di luogo «teofanico», cioè luogo dove Dio si manifesta e simbolo dell’ascensione spirituale.
Il vitello offerto nel vassoio da Sara è diventato coppa eucaristica. L’oro è il simbolo della luce divina. Il fondo e le aureole (nimbi) d’oro sono simboli della luce divina.
La luce nell’icona non è naturale, ma spirituale. Proviene dalla grazia ricevuta, per mezzo dello Spirito, prima dall’iconografo, nella contemplazione del mistero da rappresentare, poi da chi contempla l’icona con lo stesso atteggiamento di preghiera.
Nell’arte liturgica della Chiesa ortodossa, l’opera di Rublëv manifesta attraverso l’immagine la santità e l’eredità spirituale di san Sergio di Radonež, la pace interiore che lo contraddistingueva. Rublëv la dipinse proprio a gloria di san Sergio e per la sua Chiesa. In un inventario di pitture della Laura della Trinità di san Sergio, nel 1920, G. A. Olsoufiev descriveva così questa icona: «Si può dire che essa non ha uguali, per la sintesi perfetta di una concezione teologica sublime col simbolismo artistico che l’esprime attraverso la struttura dei ritmi e delle linee, dei colori e di una plasticità che va al di là.
Questa icona è ontologica per eccellenza».

Andrej Andrej Rublëv (1360-1430)


Icona Icona della Santa Trinità di Andrej Rublëv