La quarta dimensione - il tempo di Dio
C’è sempre più uno scollamento tra il vissuto quotidiano e la vera natura dell’essere umano, tra il corpo e l’anima, lo spazio e il tempo, il passato, il presente, il futuro. Eppure, scrive San Giovanni della Scala nel suo “Klimax tou Paradeisou” (Scala del Paradiso): “Di tutte le creazioni di Dio, solo l’anima è il suo essere in un altro (il corpo) e non a se stessa”. E aggiunge: “E’ meraviglioso come [l’anima] può esistere al di fuori di tale organismo in cui ha ricevuto il suo essere”.
Tutto è stato compiuto per noi: Gesù si è incarnato perché è risorto. Egli è il Vivente perché è la Vita stessa nel Padre. E’ la Chiesa nello Spirito.
L’equilibrio tra anima e corpo, la loro unione, è - potremmo dire - una sorta di meccanismo a feed-back, di autopoiesi, dove la preghiera e i sacramenti, per primi, fanno da regolatori di tale meccanismo… preparando la coscienza alla rivelazione divina. Questa “autorigenerazione spirituale” regola i rapporti tra la responsabilità sociale e spirituale del genere umano. Tra spazio e tempo, per dirla con Florensky.
Il teologo e filosofo russo rileva che l’uomo tende a conoscere e pensare un determinato oggetto guardando solo una sua parte, spesso quella che muta relativamente poco nel tempo, mentre trascura i settori di cambiamento sostanziale. Il che porta a identificare l’oggetto con lo stadio più significativo del suo processo, quello dominante su tutti gli altri. Così, fin dai primordi dell’umanità, si usava riconoscere la pienezza umana di un individuo a quarant’anni, l’età in cui viene raggiunto il punto di massima armonia della personalità.
Giustamente, per il fisico e matematico russo questa visione non basta. Egli parla di “eternità biografica” per spiegare che tutto ciò che nasce nel tempo vive da un determinato momento fino ad un altro momento di tempo. Tutti hanno la propria “eternità biografica”, sebbene ne esista un’altra di livello superiore. Diventa quindi evidente che una personalità unica e identica a se stessa si può conoscere solo entrando nello spazio della sua “eternità biografica”. “Quest’unità non è nel tempo o, per lo meno, non è nel tempo come l’intendiamo noi, - sostiene Florensky -, ma in quella dimensione temporale che si chiama spazio quadridimensionale”. Vi è, infatti, uno spazio di un ordine più alto che giace nel cuore del nostro mondo tridimensionale, la cui presenza è stata enunciata e studiata da molti filosofi, fra i quali Platone, Schelling e Goethe. Florensky è convinto che la realtà del mondo viene sorretta da un’Idea viva, la quale, come un’Immagine Primigenia di Dio, una Forma di tutto l’essere creato, porta a compimento tutte le altre singole realtà. Per lui, fedele alla spiritualità e mistica della cristianità orientale, quest’Idea viva della creatura non può essere altro che “la Chiesa Annunziata, o la Sofia, la Sapienza Divina nella creatura”. Ebbene, da una tale visione mistica della realtà non può che scaturire una concezione del tutto particolare del tempo.
Nelle profondità concettuali del pensiero come realtà creata, l’esistenza della Realtà divina presuppone o implica l’esistenza di una sfera di vita che ha una sua propria coordinata temporale con una sua misura del tempo, diversa da quella che normalmente adoperiamo per misurare la successione temporale. Il fatto che l’uomo possa almeno in parte assaporare una tale misura viene confermato dalla percezione del tempo che a volte si può fare nel sogno. “È noto - scrive Florensky - che in un intervallo brevissimo secondo la misura esterna, il tempo del sogno può durare ore, mesi, perfino anni e in certi casi particolari, secoli e millenni. In questo caso nessuno dubita che il dormiente, isolato dal mondo visibile esterno e passando con la coscienza in un altro sistema, acquista anche una nuova “misura del tempo” in forza del quale il suo tempo, rispetto al tempo del sistema da lui abbandonato, trascorre con incredibile velocità”.
“Tutti sono d’accordo, anche senza conoscere il principio di relatività, che nei singoli sistemi il tempo trascorre secondo una sua velocità e una sua misura. Non tutti, però, e nemmeno molti - sottolinea il grande scienziato - hanno meditato sulla possibilità che il tempo trascorra a una velocità infinita e perfino rovesciandosi su se stesso, e che, col passaggio alla velocità infinita, il suo corso prenda il senso inverso. Il tempo davvero può essere istantaneo e fluire dal futuro al passato, dagli effetti alle cause, teleologicamente, e ciò avviene appunto quando la nostra vita passa dal visibile all’invisibile, dal reale all’immaginario”.
Questo passaggio, però, con il cambio della percezione del tempo si può sperimentare non solo nel sogno, ma anche in un’esperienza mistica. Colui che viene rapito verso le misteriose cime dell’Invisibile non pensa più di essere entrato in un mondo immaginario o capovolto. Trovandosi al centro del “mondo spirituale”, che si lascia scoprire come più autenticamente reale di tutta la realtà, il mistico entra in una nuova dimensione di vita, quella di Dio. Il quale “è trans temporale”, è “Colui che è nell’Eternità”. Per Dio “il tempo è un unico “adesso” dato immediatamente in tutti i suoi momenti”. Ecco perché grazie all’esperienza mistica viva, in cui accade che “l’uomo e Dio si scambiano di posto”, l’uomo inizia a percepire il tempo e la sua suddivisione sensoriale diversamente, “dall’alto”. Guardando il tempo in questa prospettiva, esso appare - come venne colto già da Platone - come “un’immagine mobile dell’eternità” (Timeo 37 D).
Per il sacerdote Florensky dunque la riflessione sul tempo scaturisce da una riflessione molto più ampia e complessa: quella riguardante il “rivelarsi” dell’Intero (Celoe), cioè dell’Idea, della Verità, della Vita, nel mondo empirico. Un “rivelarsi” che ha come effetto la rifrazione dell’Intero nella moltitudine dei frammenti che, pur essendo da una parte indissolubili, sono dall’altra diversi al punto che, nei casi limite, due di essi possono apparire come due poli completamente antinomici. Come tali, i due poli, il «sì» e il «no», rappresentano l’inizio e la fine del rivelarsi del mondo sovraempirico nel mondo empirico e ciò sia nel senso dello spazio che del tempo.
“Quanto allo spazio i due poli si rivelano come entrata e uscita, quanto al tempo, come inizio e fine, nascita e morte. Il rivelarsi dell’Intero, a questo punto, si deve immaginare “come un’azione che riempie l’area tra i due poli sia nel senso del tempo che dello spazio, paragonabile all’azione di un turbine o di una qualsiasi linea di forza. Quello che importa è che l’uomo con un’unica percezione colga la moltitudine dei frammenti come un unico insieme, che dal numero infinito dei frammenti elevi il suo sguardo a quella che è l’infinità di tutte le infinità: l’Idea. Facendo così, egli è in grado di intravedere nel fluido scorrere dei frammenti del tempo il volto armonioso di un unico Insieme, di intravedere cioè nel tempo il Tempo stesso”.
Ponendosi in questa prospettiva, Florensky, già nella sua prima grande opera, “La colonna e il fondamento della Verità”, offre la sua originale interpretazione della “molteplicità” temporale che, in fondo, rivela la sua idea del tempo. Una tale interpretazione non è priva di un fondamento teologico. Essa, infatti, scaturisce dalla concezione del dogma trinitario. Una concezione che afferma: vi è un unico Soggetto della Verità, ma la sua identità (il suo Io) viene fondata nella/attraverso la relazione. Nel senso che attraverso “il Tu, l’Io soggettivo si fa Lui oggettivo e in questo trova la propria affermazione e oggettivazione come Io”. Di conseguenza si può dire: “la Verità contempla Se stessa attraverso Se stessa in Se stessa. Ogni momento di questo atto assoluto è assoluto, è la Verità”. In sintesi, secondo Florensky il Soggetto della Verità non può essere pensato se non come una relazione, “ma una relazione che è sostanza, relazione-sostanza”. Pertanto, l’idea dell’Unità assoluta dei Tre diversi, compresa come Realtà fondante e originaria (ideale) di tutto il creato, è indiscutibile. In fondo, la “triadicità del tempo” ne è conferma più che sufficiente. La divisione del tempo in passato, presente e futuro risulta essenziale.
Ne “L’analisi della spazialità e del tempo” Florensky annota che l’uomo è capace di una “sintesi temporale” solo grazie a una coscienza attiva. “Quanto più la coscienza è capace di attività, tanto più profondamente e con ampiezza essa realizza questa sintesi, e cioè in modo tanto più intero e compatto il tempo viene vissuto da essa. Al contrario, la passività della coscienza disgrega il tempo, producendo “parti singole, autosufficienti, ciascuna delle quali aderisce all’altra soltanto esternamente, ma dalla cui percezione separata non si può in questo caso presentire che cosa ci dirà l’altra. Nel caso in cui la coscienza diventa del tutto inattiva, l’uomo, come una cosa in mezzo alle cose del mondo, viene trasportato insieme alle altre sulla superficie del fiume del tempo. Ma egli non sa niente di ciò, perché non è cosciente in generale di quello che avviene in lui. Il tempo si è disgregato, e ciascun suo momento nella coscienza esclude del tutto qualsiasi l’altro. Il tempo è diventato per la coscienza soltanto un punto, ma non un punto di pienezza, che assorba in sé tutto il tempo, bensì un punto di svuotamento dal quale è stato estratto e cacciato via qualsiasi tipo di varietà, movimento, forma.
Per attività della coscienza Florensky intende non tanto un’attività di carattere psicologico quanto piuttosto un’attività spirituale caratterizzata da un concreto impegno di vita che coinvolge tutte le sfere dell’esistenza umana. Un impegno che, come viene spiegato con grande maestria teologica e rara sensibilità spirituale nelle pagine de “La colonna”, ha come modello la vita trinitaria di Dio, che ci è stata rivelata e comunicata nella/attraverso la persona di Gesù Cristo. “Partecipare all’Atto eterno dell’unisostanzialità dei Tre significa entrare e vivere nello spazio dell’eterna memoria, in uno spazio che i torrenti del tempo mai potranno portare via. Colui che vi entra sale al di sopra del tempo, grazie a ciò può percepire tutto il tempo, cioè passato, presente e futuro, come un unico “adesso”. Tutto viene visto sotto l’angolazione dell’Eternità. Al punto che lo sguardo stesso diventa memoria. Una memoria che non è passività, ma attività nel senso più profondo della parola: la creazione nel tempo di simboli dell’Eternità, perché la vita continuerà a essere vissuta nello spazio e nel tempo”.
Icona della SS. Trinità di Andrej Rublev (Moskva, 1411)