Nel rispetto della sovranità delle Nazioni. Lettera del presidente Putin al popolo americano

Con un contributo op-ed (versione americana degli interventi di personalità non legate a un giornale, che di solito vengono pubblicati nella pagina opposta a quella dell’editoriale), è stata pubblicata sul New York Times del 12 settembre 2013 la lettera che il presidente Vladimir Putin ha scritto al popolo americano in seguito all’annuncio di un attacco militare degli Usa contro la Siria. Non è la prima volta che si vede una lettera simile (in un precedente articolo al New York Times nel 1999, Putin spiegò le ragioni dell’intervento russo in Cecenia), ma è senza precedenti che il presidente russo scriva agli americani in sostegno di un altro Paese. Essa rappresenta una solida base per il lavoro della diplomazia internazionale, impegnata nei negoziati per organizzare la conferenza internazionale di pace «Ginevra-2», per la quale la Russia ha chiesto una piattaforma comune e «costruttiva». Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha segnalato, tuttavia, che ci sono degli ostacoli da superare. «La coalizione nazionale siriana, che è sostenuta dalle potenze regionali e occidentali in qualità di principale rappresentante del popolo siriano - cosa che è manifestamente eccessiva, poiché questa coalizione non rappresenta tutta l’opposizione, sta tentando di manipolare questo processo», - ha dichiarato Lavrov. «Contrariamente all’opposizione esterna che rappresenta la coalizione», secondo Mosca «l’opposizione siriana interna ha una visione di uno Stato siriano laico e pacifico, rispettoso dei diritti dei cittadini». «È importante unirsi su una piattaforma di questo tipo», ha precisato il capo della diplomazia russa, spiegando che «la situazione ideale è quella di fare in modo che l’opposizione sia rappresentata da una sola delegazione e parli con una sola voce a Ginevra-2». «Se questo non sarà possibile a causa delle insistenze degli oppositori più radicali su condizioni inaccettabili per i moderati, allora occorrerà fare in modo che l’insieme delle forze siriane sia correttamente rappresentato alla conferenza», - ha commentato il ministro russo nel corso di una conferenza stampa. Tutto questo mentre la distruzione delle armi chimiche siriane procede in conformità al piano dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac). Sotto gli occhi della comunità internazionale si sta verificando un evento storico: gli arsenali chimici di uno Stato vengono messi sotto il controllo di un’organizzazione internazionale intenzionata a portare questi armamenti fuori dalla Siria entro la fine dell’anno».

I recenti avvenimenti riguardanti la Siria mi hanno indotto a parlare direttamente al popolo americano e con i suoi leader. Penso sia importante farlo
in un momento in cui le comunicazioni tra le nostre due società sono difficili.
Le relazioni tra i nostri due Paesi sono state altalenanti. Siamo stati uno contro l’altro durante la Guerra Fredda. Ma, in precedenza fummo alleati e sconfiggemmo insieme il Nazismo. L’organizzazione per il governo mondiale - le Nazioni Unite - furono fondate allora, proprio allo scopo di prevenire altri drammi come quello, per evitare che simili distruzioni si ripetessero.
I fondatori delle Nazioni Unite compresero che le decisioni sulla pace e sulla guerra potevano essere prese solo attraverso un consenso generale e, con il benestare degli Stati Uniti, il potere di veto dei membri permanenti dell’Onu venne scolpito nel documento costitutivo delle Nazioni Unite. Questa grande saggezza ha permesso di avere una stabilità internazionale per decenni.
Nessuno vuole che le Nazioni Unite facciano la stessa fine della Lega delle Nazioni, scomparsa a causa del fatto che i Paesi che la componevano non avevano la stessa forza. Questo però è possibile se Paesi influenti bypassano l’Onu e decidono di intraprendere azioni militari senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.
L’attacco militare alla Siria minacciato dagli Stati Uniti, contro cui esiste l’avversione di molti Paesi, di molti leader mondiali politici e religiosi, compreso il Papa, non farebbe altro che aumentare il numero delle vittime e porterebbe a un’escalation del conflitto, che potrebbe diffondersi anche ben oltre i confini siriani. L’attacco causerebbe un aumento della violenza e della minaccia del terrorismo. Potrebbe minare gli sforzi internazionali per trovare una soluzione alla questione del nucleare iraniano, al conflitto tra israeliani e palestinesi, e potrebbe destabilizzare ancora di più il Medio Oriente e il Nord Africa. Potrebbe far saltare l’intero sistema internazionale giuridico e dare un duro colpo agli attuali equilibri internazionali.
In Siria, in questo momento, non è in corso una battaglia per la democrazia, ma si sta combattendo un conflitto tra il governo e l’opposizione armata in un paese multireligioso. Ci sono pochi campioni di democrazia in Siria. Ma ci sono fin troppi guerriglieri di Al Qaeda e fondamentalisti di ogni tipo che stanno combattendo contro il governo siriano. Il Dipartimento di Stato ha inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche la milizia di Al Nusra e il Fronte islamico iracheno, che stanno combattendo a fianco dell’opposizione. Questa guerra civile, alimentata da coloro che forniscono armi agli oppositori, è uno dei più sanguinosi conflitti al mondo.
Mercenari provenienti dai Paesi arabi combattono in Siria, così come fanno molti militanti provenienti dai Paesi occidentali e anche dalla Russia, e sono per noi motivo di forte preoccupazione. Torneranno nei nostri Paesi dopo l’esperienza bellica siriana? Dopo tutto, gli estremisti islamici che hanno combattuto in Libia poi si sono trasferiti in Mali. Non è un pericolo che ci riguarda tutti?
Fin dall’inizio, la Russia ha avuto come priorità la ricerca di una soluzione pacifica del conflitto, che potesse passare attraverso un compromesso e desse la possibilità ai siriani di decidere del loro futuro. Noi non stiamo proteggendo il governo siriano, ma le leggi internazionali. Vogliamo e dobbiamo appellarci alle Nazioni Unite perché crediamo che sia l’unico modo per preservare l’ordine e le leggi internazionali ed evitare così che un mondo tanto turbolento precipiti nel caos. La legge è ancora la legge e, che ci piaccia o no, dobbiamo seguirla. L’attuale legge dice che l’uso della forza è permesso solo come autodifesa o dietro autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Tutto il resto, per la Carta delle Nazioni Unite, è inaccettabile e si configura come un atto di aggressione.
Non c’è alcun dubbio che in Siria siano state usate armi chimiche. Ma ci sono tutte le ragioni possibili per credere che non siano state utilizzate dall’esercito siriano, ma, al contrario, dai ribelli, per provocare l’intervento dei loro potenti sostenitori stranieri, che così facendo, di fatto, si allineano accanto ai gruppi fondamentalisti islamici. Le notizie che un altro attacco da parte di questi militanti - questa volta contro Israele - non possono essere ignorate.
È allarmante vedere che per gli Stati Uniti sia diventato normale intervenire militarmente in conflitti interni ad altri Paesi. Fa parte degli interessi strategici americani? Ne dubito. Sempre più milioni di persone nel mondo non vedono più gli Usa come un modello di democrazia, ma come una nazione che usa solo la forza militare, e che raccoglie attorno a sé coalizioni internazionali al motto: «Chi non è con noi è contro di noi».
Ma l’uso della forza si è rivelato inefficace e senza alcuno scopo. L’Afghanistan non è stato stabilizzato e nessuno può dire cosa accadrà quando si ritireranno le forze internazionali. La Libia è divisa in tribù e clan. In Iraq continua la guerra civile. Negli Stati Uniti, molti accomunano la Siria all’Iraq e si chiedono se il loro governo ripeterà i recenti errori del passato.
Non importa quanto siano mirati gli attacchi o quanto sofisticate siano le armi che vengono utilizzate. Le bombe uccidono i civili, le donne e gli anziani, per la cui difesa questi attacchi vengono giustificati.
Molti nel mondo si chiedono: se non possiamo contare sulla legge internazionale per difenderci, quali altre misure dobbiamo prendere per la nostra sicurezza? Così, un sempre maggiore numero di Paesi può pensare di acquistare armi di distruzione di massa. Questo è logico: se hai un bomba, nessuno ti attaccherà. Ci siamo lasciati discutendo della necessità di incoraggiare la non proliferazione delle armi, e invece, tutto questo, adesso, rischia di essere perduto.
Dobbiamo smettere di usare il linguaggio della forza e tornare a quello della civile diplomazia e della ricerca di una soluzione politica.
Una nuova opportunità per evitare l’attacco si è presentata nei giorni scorsi. Gli Usa, la Russia e tutti gli altri membri della comunità internazionale devono cogliere al volo la dichiarata volontà del governo siriano di mettere sotto il controllo internazionale le sue armi chimiche per arrivare poi alla loro distruzione. Nel suo Discorso alla Nazione, il presidente Obama ha presentato questo piano come un’alternativa all’attacco militare.
Apprezzo molto l’interesse mostrato dal presidente Obama nel continuare il dialogo con la Russia sulla Siria. Dobbiamo lavorare insieme per mantenere questa speranza viva, così come ci siamo detti alla riunione del G8 che si è svolta a Lough Erne, in Irlanda del Nord, in giugno, e dobbiamo tornare a sederci al tavolo dei negoziati.
Se l’uso della forza in Siria potrà essere evitato, questo porterà ad una atmosfera internazionale più distesa e ad una maggiore fiducia reciproca. Sarà la condivisione dei nostri successi ad aprire la porta per trovare soluzioni favorevoli per gli altri spinosi temi in agenda.
Ho lavorato a lungo con il presidente Obama e ho con lui una relazione personale improntata su di una crescente fiducia. È una cosa che apprezzo. Ho seguito il suo Discorso alla Nazione di martedì scorso. E vorrei esprimere tutta la mia delusione per il suo passaggio sull’eccezionalismo americano, quando lui ha affermato che la politica americana deve essere all’insegna della diversità: «Perché è quello che ci rende diversi, è quello che rende l’America straordinaria».
È molto pericoloso incoraggiare le persone a sentirsi «straordinarie», qualsiasi sia la ragione per cui questo viene detto. Ci sono Paesi grandi e Paesi piccoli, Paesi ricchi e Paesi poveri, Paesi che hanno una lunga tradizione democratica e Paesi che stanno ancora cercando la loro strada verso la democrazia. Le politiche sono diverse. Noi tutti siamo diversi, ma quando chiediamo la benedizione di Dio non dobbiamo dimenticarci che Dio ci ha creati tutti uguali.

Vladimir Putin
Presidente della Federazione Russa

Il Il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin


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