Alla ricerca della perla spirituale... Relazione del metropolita Hilarion di Volokolamsk
Si è svolta il 10 e 11 ottobre 2013, presso la sala dei convegni della Facoltà di Filosofia dell’Università statale di Mosca, la prima conferenza internazionale di Patristica della Scuola di dottorato e alti studi teologici della Chiesa ortodossa russa dal titolo: «Sant’Isacco il Siro e la sua eredità spirituale». I lavori sono stati aperti dal metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente della Commissione sinodale biblico-teologica, rettore della Scuola di dottorato e alti studi teologici dei Santi Cirillo e Metodio e presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, che ha tenuto una relazione sul tema: «Alla ricerca della perla spirituale. Sant’Isacco il Siro e le sue opere».
Il convegno è stato organizzato in collaborazione con la Facoltà di Filosofia dell’Università statale di Mosca e la Fondazione «Meta». Vi hanno preso parte i maggiori esperti nel campo della Patristica siriaca e degli studi orientali di Russia, Europa Occidentale, America del Nord e Medio Oriente. Tra gli ospiti c’erano i più grandi studiosi di Sant’Isacco: Sebastian Brock (Regno Unito), Martin Tamko (Germania), Sabino Chialà (Italia), Marcel Pirard (Francia) e altri. Alla cerimonia di apertura hanno partecipato alcuni vescovi di diverse Chiese di Siria, tra cui il vescovo di Apamea Isacco, vicario della diocesi di Damasco del Patriarcato di Antiochia, l’arcivescovo Iosef Absi della Chiesa cattolica melchita, il vescovo Nalbandian di Armaš della Chiesa apostolica armena, l’arcivescovo Mar Selwan Petr Al-Nemeh della Chiesa siro-ortodossa, l’arcivescovo Samir Nassar della Chiesa maronita. Erano presenti anche il rappresentante del Patriarca di Antiochia
e di tutto l’Oriente presso il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’, arcivescovo Nifon di Filippopoli, il preside della Facoltà di Filosofia dell’Università statale di Mosca e membro corrispondente dell’Accademia Russa delle Scienze di Mosca, professore Vladimir Mironov, il preside del Seminario teologico San Vladimir di New York, arciprete John Behr, il vicerettore della Scuola di dottorato e alti studi teologici dei Santi Cirillo e Metodio, arciprete Vladimir Shmalij, i professori e gli studenti dell’Università statale di Mosca, dell’Accademia Teologica e Seminario di Mosca, dei Seminari di San Nicola di Ugresh, Perervin e Kolomna.
Aprendo la riunione, il metropolita Hilarion ha detto: «Il nostro convegno è dedicato ad uno dei grandi Padri della Chiesa d’Oriente - Sant’Isacco il Siro, vissuto nel VII secolo, che ha scritto in lingua siriaca o aramaica. È la lingua parlata dal Signore Gesù Cristo, è stata la lingua della letteratura scritta cristiana originaria, è la lingua con la quale per secoli hanno parlato e pregato i cristiani di diverse Chiese. Oggi, il suo uso è principalmente liturgico, anche se è parlata ancora in alcuni villaggi.
Uno di questi villaggi è Maalula, recentemente attaccato dai ribelli, come hanno riportato le più importanti agenzie di stampa del mondo. Molti dei presenti sono stati in questo paese, come in altri luoghi connessi con lo sviluppo e la diffusione del cristianesimo in Siria. Noi conosciamo in prima persona la Siria - siamo stati in questo Paese, abbiamo visto come i cristiani sin dall’inizio del conflitto militare coesistevano pacificamente con i musulmani e i membri di altre tradizioni religiose.
Oggi questa fragile armonia interreligiosa è stata minata. Il sangue viene sparso in terra di Siria e il numero dei morti ha ormai raggiunto le decine di migliaia. Siamo profondamente vicini al popolo siriano. La nostra preghiera speciale è per i cristiani siriani, che sono stati oggetto di crudele persecuzione da parte dei musulmani wahhabiti radicali. L’esistenza stessa del cristianesimo in questa terra, dove è vissuto e si è sviluppato per due millenni, è ora minacciata.
Siamo profondamente vicini alla Chiesa ortodossa e siro-ortodossa di Antiochia per il rapimento dei due metropoliti – Paulos di Aleppo, della Chiesa ortodossa antiochena, e Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, della Chiesa siro-ortodossa - che molti di noi conoscono bene. Entrambi sarebbero dovuti essere qui con noi oggi.
Condividiamo le sofferenze dei cristiani siriani, molti dei quali hanno perso i loro cari e sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Esprimiamo dolore per la distruzione delle chiese cristiane e la profanazione dei luoghi sacri.
Oggi sono presenti tra noi sei vescovi che rappresentano le varie Chiese cristiane in Siria. Vorrei salutare soprattutto Voi oggi, cari fratelli, e rivolgere a Voi parole di sincero sostegno.
Le Vostre chiese sono state oggetto del fuoco dell’artiglieria, i siti sacri sono stati profanati e il Vostro gregge sta scomparendo sotto i Vostri occhi: alcuni cristiani sono morti a seguito degli attacchi terroristici, mentre altri sono stati costretti ad abbandonare le loro case. In questi giorni avete potuto venerare i luoghi santi del nostro Paese, pregare insieme con noi, incontrare Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’ e importanti rappresentanti della Federazione Russa. Vorrei assicurarvi che la Russia e la Chiesa ortodossa russa, che unisce popoli di vari Paesi, Vi sostengono nella Vostra lotta per la sopravvivenza, per la conservazione della presenza cristiana in terra di Siria, che è sacra per tutti noi.
Saluto tutti gli studiosi qui riuniti, teologi e studiosi di Patrologia siriaca, specialmente quelli che sono venuti dall’estero. La nostra conferenza ha riunito i maggiori esperti nel campo della ricerca siriana. Per quanto ne so, questa è la prima conferenza al mondo di tale livello, dedicata a Sant’Isacco il Siro.
La maggior parte dei partecipanti al convegno sono studiosi che hanno dato un contributo personale alla pubblicazione o alla traduzione delle opere di Sant’Isacco, alla ricerca del suo insegnamento teologico e ascetico.
Mi auguro che questa conferenza costituisca un ulteriore passo in avanti nello studio del patrimonio spirituale di questo grande Padre della Chiesa. Spero inoltre che possa attirare ancora maggiore attenzione verso la tradizione cristiana siriana, che oggi ha particolarmente bisogno di essere difesa.
Ringrazio la Facoltà di Filosofia dell’Università statale di Mosca per aver preso parte alla preparazione di questa conferenza e per aver messo a disposizione i suoi locali. Ringrazio la Fondazione «Meta» per il sostegno finanziario, senza il quale sarebbe stato impossibile tenere questa conferenza. Invoco la benedizione di Dio su tutti i partecipanti alla conferenza».
Poi ha preso la parola il preside della Facoltà di Filosofia Mironov, che ha detto: «È la prima volta che l’Università di Mosca e la Scuola di dottorato e alti studi teologici hanno unito gli sforzi per organizzare una conferenza.
I rappresentanti della scienza e dell’istruzione religiosa e laica si sono riuniti in questa sala e ci auguriamo che la collaborazione tra l’Università e la Chiesa continui a svilupparsi in futuro».
Egli ha ricordato che l’Università forma specialisti in tutti i campi della filosofia, della cultura e delle tradizioni religiose, tra cui lo studio della storia e delle tradizioni dell’Ortodossia - uno dei fondamenti della storia e della statualità russa, - che occupa un posto preminente nel campo dell’istruzione superiore dell’Università di Mosca.
Il preside della Facoltà di Filosofia ha espresso la speranza che in futuro le conferenze congiunte su temi legati alla storia dell’Ortodossia e al suo ragionamento filosofico diventino più regolari.
«Sono particolarmente lieto che Sua Eminenza il Metropolita Hilarion abbia scelto questa sede per la conferenza, la nostra Facoltà, - ha aggiunto Vladimir Mironov - perché sappiamo che è l’autore di un’importante ricerca su questo padre della Chiesa del VII secolo».
Il decano della Facoltà di Filosofia ritiene che la conferenza congiunta su Sant’Isacco il Siro dimostra lo sviluppo della cooperazione proficua tra l’istruzione laica e religiosa, e contribuisce all’ulteriore arricchimento del patrimonio scientifico, storico, spirituale e culturale generale.
Nel prendere la parola, l’arcivescovo Mar Selwan Petr Al-Nemeh, della Chiesa siro-ortodossa, ha ringraziato la Chiesa ortodossa russa e il Governo russo per la ferma posizione sulla situazione in Siria e per l’assistenza umanitaria fornita al popolo siriano. Dalla Siria il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo, ha ricordato il vescovo Selwan, dicendo: «Questa terra ha svolto un’importante missione teologica, ha dato al mondo grandi asceti come Sant’Isacco il Siro, San Giovanni di Damasco e molti altri Padri della Chiesa».
Secondo la testimonianza dell’arcivescovo Selwan, in Siria vivevano in pace e in armonia con i musulmani circa un milione e mezzo di cristiani. Con lo scoppio delle ostilità nel 2011, è iniziata la distruzione dei templi e delle case, abitate dai cristiani. «Sono state distrutte circa cinquanta chiese, tra cui quelle di Maaloula, dove si parla la stessa lingua del Salvatore», - ha detto con amarezza l’arcivescovo. Egli ha ricordato che il 6 ottobre a Damasco, la chiesa ortodossa dell’Esaltazione della Santa Croce è stata danneggiata dai bombardamenti e dal fuoco dei mortai.
«Più di mezzo milione di cristiani si sono allontanati dalle loro case. Temiamo che questo flusso continui, come è successo in Iraq. Noi in Siria abbiamo la nostra storia, non siamo stranieri che vivono in questo Paese, abbiamo le nostre radici in terra siriana. Non riusciremo mai a lasciare la Siria, qualsiasi cosa succeda», - ha dichiarato il gerarca della Chiesa siro-ortodossa.
Egli ha espresso fiducia che il sostegno della Chiesa ortodossa russa, dello Stato e del popolo della Russia possano svolgere un ruolo decisivo nel porre fine alla sofferenza e allo spargimento di sangue in Siria. «Spero che il metropolita Hilarion e tutti i presenti qui pregheranno per noi e per il cristianesimo in Siria affinché non scompaia e il Paese non diventi solo un «museo» del cristianesimo», - ha detto in conclusione l’arcivescovo Mar Selwan Petr Al-Nemeh.
Alla ricerca della perla spirituale…
«Vostre Eminenze e Grazie, cari padri, fratelli e sorelle!
Questa conferenza internazionale rappresenta il primo convegno di Patristica della Scuola di dottorato e alti studi teologici dei Santi Cirillo e Metodio. Mi auguro che tali conferenze diventino una tradizione e si tengano ogni anno. L’attuale conferenza si svolge in collaborazione con la Facoltà di Filosofia dell'Università Statale di Mosca.
Quattro anni fa, su iniziativa di Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’ Kirill, in occasione della prima riunione del Sacro Sinodo dopo la Sua elezione al soglio patriarcale, è stata creata un’istituzione destinata a diventare il fiore all’occhiello della scienza teologica nella Chiesa ortodossa russa: la Scuola di dottorato e alti studi teologici. Essa è il più alto livello della formazione spirituale nel Patriarcato di Mosca. In collaborazione con le Accademie teologiche e i Seminari, con le principali istituzioni educative laiche in Russia e all'estero, essa fornisce una vasta gamma di programmi educativi. Sotto gli auspici della Scuola di dottorato e alti studi teologici, sono in fase di sviluppo programmi di master e dottorato e si svolge una seria ricerca scientifica.
La gerarchia della nostra Chiesa, nella persona di Sua Santità il Patriarca Kirill e del Sacro Sinodo, presta grande attenzione allo sviluppo dei vari rami della teologia. Uno di tali rami è la Patristica. Lo studio delle opere dei Santi Padri è stata una delle priorità delle nostre Accademie teologiche anche nel periodo pre-rivoluzionario. Le Accademie hanno effettuato una traduzione sistematica delle opere dei Santi Padri, così che ora abbiamo a nostra disposizione una collezione di più volumi di opere di autori greci e latini, come Basilio il Grande, Gregorio il Teologo, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Agostino d’Ippona, e molti altri, nonché monografie sui Padri della Chiesa.
La traduzione e l’attività di ricerca nel campo della Patristica sono riprese nel 1990, e oggi sono molti gli studiosi che lavorano in questo campo. Ci sono nuove traduzioni delle opere dei Padri della Chiesa, basate sulle moderne edizioni critiche delle loro opere e pubblicate in monografie e articoli per l'inserimento della teologia patristica nel contesto del discorso teologico contemporaneo, al fine di attualizzare il pensiero dei Padri nella realtà della vita della Chiesa di oggi.
Una delle lacune nella patrologia pre-rivoluzionaria è stata la Patristica siriaca. Presso le Accademie teologiche hanno lavorato eminenti studiosi di Patristica latina e greca, ma di sirologi nella nostra Patria praticamente non ce ne sono stati. Una raccolta in otto volumi delle opere di Sant’Efrem il Siro, esistente in Russia, è composta per oltre la metà da pseudoepigrafie tradotte dal greco. Solo negli ultimi quattro volumi, le opere sono state tradotte dal siriaco originale. E il nostro famoso filologo classico Sergij Ivanovič Sobolevskij, che agli inizi del XX secolo ha tradotto gli scritti di Isacco il Siro dal greco in russo, ha utilizzato la traduzione in tedesco dal siriaco delle sue opere per il confronto in alcuni punti più difficili.
In epoca sovietica sono apparse opere originali russe sugli studi siriaci: qui, prima di tutto, va rilevato il lavoro di Nina Pigulevskaya, che ha dato un contributo notevole per far conoscere ai lettori russi i classici della letteratura siriaca. Vanno anche menzionate le opere di Sergij Averintsev, che ha aperto al lettore laico sovietico il mondo della Patristica bizantina e siriaca attraverso il prisma dello studio letterario e della ricerca della «poetica» dei testi paleocristiani. Tuttavia, per ovvie ragioni, durante il periodo dell'ateismo militante i nostri ricercatori laici non si sono potuti impegnare in questioni puramente religiose, né tantomeno nello studio sistematico della Patristica siriaca.
Solo nel 1990, dopo la caduta dell’ateismo militante, è stato possibile realizzare il pieno sviluppo della scienza patristica nella Chiesa Russa. E si scoprì, tra le altre cose, che c’era una grave lacuna nel campo della patrologia siriaca. Un numero enorme di traduzioni di scritti siriaci attende ancora il suo traduttore, e un gran numero di importanti opere dei Padri della Chiesa siriaca attende ancora i suoi ricercatori.
Va detto che anche in Occidente la sirologia come branca speciale della teologia è stata costituita solo nel XX secolo. La raccolta in più volumi di opere di autori siriaci, la cui pubblicazione è iniziata sotto il titolo di Patrologia siriaca nel 1897, è poi proseguita con il nome di Patrologia orientale (con l'inclusione non solo di fonti siriache, ma anche arabe, armene, copte, georgiane e slave). Questa collezione, destinata ad integrare le due collezioni monumentali che sono apparse nel XIX secolo - Patrologia greca e Patrologia latina dell’abate Migne - è diventata una preziosa raccolta di testi cristiani. Grazie ad essa, un numero enorme di opere della letteratura orientale, tra cui quella siriaca, fino allora sconosciute (o note solo in edizioni di scarsa qualità), sono diventate oggetto di attenzione da parte degli studiosi.
Parallelamente alla pubblicazione dei testi, è stato eseguito un importante lavoro di ricerca su di essi, sono stati pubblicati monografie e articoli sugli autori siriaci. A tal proposito dobbiamo ricordare le opere fondamentali di Irénée Hausherr, Arthur Võõbus, Alphonse Mingana e molti altri eminenti sirologi, le cui opere sono diventate dei classici. In questa galassia di eminenti sirologi, un posto di rilievo è occupato dal dottor Sebastian Brock, che è presente oggi qui tra noi e al quale rivolgo un caloroso benvenuto. Durante il mio soggiorno a Oxford, ho avuto la fortuna di studiare sotto di lui e sotto la sua guida ho studiato i testi di Sant’Isacco il Siro, e serberò sempre nel cuore il ricordo grato di queste lezioni.
Noi dobbiamo ringraziare Sebastian Brock per aver pubblicato e portato all'attenzione del mondo accademico il secondo volume delle opere di Sant’Isacco il Siro, del quale è aumentata notevolmente la nostra conoscenza.
È possibile che non sia legato al caso il fatto che Sant’Isacco il Siro, nonostante la sua importanza per la tradizione monastica delle Chiese d'Oriente e d'Occidente, fino al XX secolo non è stato considerato degno di un solo lavoro scientifico completo su di lui (se escludiamo il piccolo libro dell’abate Chabot, pubblicato in latino nel 1892. Prima della scoperta del secondo e poi subito dopo del terzo volume delle opere di Isacco, un tale studio sembrava prematuro. L'introduzione dei testi recentemente scoperti di Sant'Isacco nel mondo accademico ha dato impulso per un rinnovato interesse verso di lui e ci ha permesso di interpretare il suo sistema teologico e ascetico nella sua interezza.
Sant’Isacco scrittore della Chiesa d’Oriente
C'è un fatto che ci obbliga a parlare di Isacco il Siro come di un «caso speciale» nella storia della letteratura patristica. Sulla base delle testimonianze storiche che sono sopravvissute, così come dei suoi scritti, egli apparteneva alla Chiesa d'Oriente, che ha riconosciuto (e tuttora riconosce) solo i primi due Concili Ecumenici - di Nicea nel 325 e di Costantinopoli nel 381 - e per questo motivo viene etichettato come «nestoriano», anche se non ha nessun legame diretto con Nestorio.
Ai tempi di Isacco, i confini canonici della Chiesa coincidevano all’incirca con quelli dell'ex Impero persiano sasanide (oggi Iraq e Iran).
La storia della Chiesa d'Oriente risale ai tempi apostolici. Secondo la tradizione, gli apostoli Tommaso e Taddeo predicarono in Persia, dove il cristianesimo si diffuse dapprima tra gli ebrei e poi tra i persiani, seguaci della religione zoroastriana. Nel III e IV secolo, i cristiani di Persia subirono gravi persecuzioni soprattutto per mano di Bahram II (276-292) e Shapur II (310-379).
Per molti secoli, la Chiesa d'Oriente ebbe solo sporadici contatti con i cristiani della «terra dei Romani» (Impero Romano d'Oriente). Al Concilio Locale del 410 a Seleucia-Ctesifonte la Chiesa d'Oriente, che in precedenza faceva parte della Chiesa di Antiochia, proclamò la sua indipendenza e il vescovo di Seleucia-Ctesifonte divenne il capo di tutti i cristiani di Persia.
La decisione del Concilio fu approvata dallo scià Ezdegerd I (399-420), che accolse i cristiani favorevolmente. Al Concilio di Markabte nel 424, i poteri del vescovo di Seleucia-Ctesifonte, come capo della Chiesa persiana, furono confermati ed ampliati. Successivamente, il capo dei cristiani persiani divenne noto come il Catholicos-Patriarca d'Oriente.
La posizione isolata della Chiesa d'Oriente ha determinato in gran parte l'originalità del suo sviluppo storico: ha formato le proprie tradizioni liturgiche, le sue scuole teologiche, ha elaborato un proprio linguaggio teologico indipendente.
Un’enorme influenza sullo sviluppo del cristianesimo siriaco è stata esercitata dal movimento dei cosiddetti «figli dell’alleanza» (bnay qyama), che fiorì nel IV secolo.
I «figli dell'alleanza» facevano voto di celibato e conducevano una vita ascetica. Essi erano spesso riuniti in piccole comunità per la vita in comune. Successivamente, le idee di base dei «figli dell’alleanza» divennero il fondamento della spiritualità monastica siriaca.
Un importante centro teologico di tutto il cristianesimo siriaco orientale è stata la cosiddetta «scuola dei persiani» (cioè, i rifugiati persiani), fondata nel IV secolo a Edessa. La materia principale che veniva insegnata era la Sacra Scrittura: gli studenti ascoltavano e annotavano l'interpretazione del loro mentore. La scuola era frequentata dai giovani siriaci di Edessa e delle regioni circostanti, così come dagli immigrati provenienti dalla Persia. I commenti di Sant’Efrem il Siro, che ha interpretato alcuni dei libri della Bibbia, sono stati utilizzati come modello per l’interpretazione della Sacra Scrittura fino alla metà del V secolo.
Tuttavia, nel V secolo, fu presa la decisione di tradurre completamente tutte le opere esegetiche di Teodoro di Mopsuestia dal greco in siriaco. Dopo che la traduzione fu completata, Teodoro di Mopsuestia divenne il principale commentatore biblico della tradizione siriaca orientale: i successivi scrittori spirituali di questa tradizione, che comprendeva Isacco il Siro, si rivolgevano a lui come «Beato Interprete».
La traduzione delle opere di Teodoro ebbe un significato eccezionale per il cristianesimo siriaco: accanto alle interpretazioni bibliche di Teodoro, le sue idee cristologiche divennero parte della tradizione siriaca. Teodoro di Mopsuestia parlava, in particolare, del fatto che la Parola di Dio ha «assunto» la persona umana di Gesù; la Parola di Dio, che non ha inizio, «abita» in Gesù, che era nato da una Vergine. La Parola vive in Cristo come in un «tempio»: essa si è rivestita della natura umana; la persona umana di Gesù attraverso la Sua opera redentrice e la morte in croce ha assunto la dignità divina. Teodoro, in sostanza, ha parlato della Parola di Dio e della persona umana di Gesù come di due soggetti che si uniscono nell’unica Persona del Verbo di Dio incarnato non tanto come condizione ontologica ed essenziale, ma come esistente nella nostra percezione: adorando Cristo, uniamo le due nature e confessiamo non «due figli», ma un solo Cristo - Dio e l’uomo.
Nel 420, questo insegnamento era alla base della dottrina cristologica di Nestorio, Patriarca di Costantinopoli, che fu osteggiato da Cirillo di Alessandria. Quest'ultimo, nella sua polemica contro il Nestorianesimo, insistette sull’unità dell’ipostasi di Dio, il Verbo: la Parola che non ha inizio è la stessa Persona di Gesù, che è nato da una Vergine; quindi è sbagliato parlare della Parola e di Gesù come di due entità distinte. La cristologia di Cirillo fu confermata dal III Concilio Ecumenico, che condannò Nestorio.
Successivamente, al V Concilio Ecumenico il «padre del Nestorianesimo» - Teodoro di Mopsuestia - fu anche condannato. Tuttavia, per i cristiani siriaci d’Oriente è rimasto sempre un’autorità indiscussa nel campo della teologia. Ciò è dovuto al fatto che la Chiesa di Persia e di tutta la tradizione teologica orientale siriaca è stata chiamata «nestoriana» - un titolo che questa stessa Chiesa non ha mai applicato a se stessa.
Alla fine del VI secolo Inana, che guidò la «scuola dei persiani» nel 572, ha cercato di sostituire l’interpretazione biblica di Teodoro per conto proprio. Questo sforzo non è stato coronato da successo: il Concilio del 585 ha confermato l'autorità inattaccabile di Teodoro e ha proibito a chiunque «esplicitamente o segretamente diffamasse questo maestro della Chiesa o si opponesse ai suoi libri sacri». Successivamente, i Concili del 596 e del 605 hanno condannato l'interpretazione di Inana e i ripetuti anatemi contro coloro che «rifiutano i commenti, le interpretazioni e gli insegnamenti del vero maestro, il beato Teodoro l’Interprete, e che cercano di introdurre nuove e strane interpretazioni, piene di follia e calunnia».
L’inizio del VII secolo è stato segnato dalla teologia di Babai il Grande, che ha scritto molto sui temi cristologici. La sua cristologia è una continuazione e una sorta di sintesi della cristologia di Teodoro di Mopsuestia e di Diodoro di Tarso. Nel guidare il partito di lotta per una rigorosa osservanza degli insegnamenti di Teodoro, Babai guidò l'opposizione al Concilio di Calcedonia. Nello sviluppare le teorie della cristologia di Teodoro, Babai si servì del «Libro di Eraclide», scritto da Nestorio, come un’apologia dopo la sua condanna al III Concilio Ecumenico e tradotto in siriaco a metà del VI secolo. Entro la metà del VII secolo i dittici della Chiesa d'Oriente già menzionano «tre maestri - Diodoro, Teodoro e Nestorio.
Le circostanze politiche del VII secolo non hanno consentito alla Persia e a Bisanzio di avvicinarsi. Al contrario, i primi decenni di questo secolo sono stati caratterizzati da una serie di conflitti armati tra i due grandi imperi. Alla fine del 627, l'imperatore bizantino Eraclio sconfisse l'esercito persiano a Ninive. Tuttavia, la presenza bizantina in Persia fu di breve durata. Già negli anni '30 del VII secolo iniziò una massiccia invasione delle orde musulmane arabe in Persia. Nel 637, la capitale dell'Impero sasanide Ctesifonte cadde e l'ultimo scià Ezdegerd III fuggì a Zagros. Entro la metà del VII secolo, la Persia era nelle mani degli arabi.
La perdita definitiva dei legami politici con l’ecumene bizantina e l’islamizzazione sotto gli arabi della Persia e della Siria non hanno portato nei secoli VII e VIII ad una crisi del cristianesimo in queste regioni, né ad un declino nella teologia e nella vita della Chiesa. Al contrario, questi due secoli sono stati un periodo di massima fioritura della letteratura teologica siriaca. In questo periodo vissero e lavorarono grandi scrittori come Martyrios-Sahdona (che ha sostenuto il Concilio di Calcedonia), Dadisho Qatraya, Simone di Taibuteh (il Misericordioso), Joseph Hazzaya (il Veggente) e Giovanni di Dalyatha. Erano tutti i principali scrittori di orientamento mistico. Poco conosciuti al di fuori della tradizione siro-orientale, hanno comunque segnato «l’età dell'oro della letteratura cristiana siriaca». L'unico rappresentante di questa epoca d’oro, destinato ad acquisire fama internazionale, fu Sant’Isacco il Siro.
Informazioni biografiche su Isacco si trovano in due fonti siriache: «Il libro della castità», dello storico siriaco orientale del IX secolo Isho’denah, vescovo di Bassora, e in una fonte siriaca occidentale anonima, della quale non sono noti né il luogo né la data. Queste fonti sono così ben note che non c'è bisogno di citarle qui. Sulla base di esse, nonché sulla base delle scarse informazioni autobiografiche presenti negli scritti di Isacco, la sua biografia può essere ricostruita solo parzialmente.
Era nato in Qatar, sul Golfo Persico. Qui, vicino al mare, ha trascorso la sua infanzia.
I riferimenti all’ambiente marino sono costantemente presenti negli scritti di Isacco: parla di navi, di capitani e marinai, di tempeste marine e venti favorevoli, di subacquei e di ostriche, estratte dalle profondità del mare. Ecco uno di questi riferimenti: Se in ogni ostrica si può trovare una perla, allora ogni uomo dovrebbe diventare ricco in fretta. E se il subacqueo estrae immediatamente la perla e le onde non lo travolgono e gli squali non lo incontrano, non avrebbe bisogno di trattenere il respiro a tal punto da soffocare e non dovrebbe privarsi dell’aria pulita, di cui tutti possono disporre, ma se non volesse scendere nelle profondità del mare - il più delle volte i fulmini si abbattono e le perle in abbondanza fuoriescono.
È possibile che Isacco sia diventato monaco non nella sua patria ma in esilio. Possiamo dedurre ciò da questa storia che inizia con le parole: «Un’altra volta sono andato a vedere un vecchio, venerabile e virtuoso anziano...». In questa storia, il santo riporta la risposta dell’anziano alla sua domanda con le seguenti parole: «Nessuno ti conosce in questa terra, non sanno della tua vita...». Eppure, la fonte siriaca occidentale anonima dice che Isacco era «un monaco e maestro nella propria regione», vale a dire in Qatar, ed è da lì che il Catholicos Givargis lo ha portato a Bet Aramaye.
Della vita di Sant’Isacco prima di diventare vescovo non si sa più nulla. Per quanto riguarda la sua consacrazione episcopale, le informazioni su questo evento, contenute nel «Libro della castità», delineano con grande chiarezza il tempo e la geografia della sua vita, così come il suo posto nei dittici della diocesi di Ninive della Chiesa d'Oriente. Il Catholicos Givargis (George), che ha consacrato Isacco, governò la Chiesa d'Oriente dal 660 al 680, e il testo cita anche il Catholicos Henanisho dal 685 al 700. Gli anni in cui Givargis era Catholicos coincisero con gli anni del regno di Mu'àwiya I, il primo califfo della dinastia omayyade, che scelse Damasco come capitale del califfato arabo. Toccò a Givargis unire i vescovi del Qatar, da dove proveniva Isacco, con la Chiesa d'Oriente.
È possible che mentre riuniva i vescovi, decise di consacrare Isacco, nativo del Qatar, famoso per la sua vita ascetica, vescovo di Ninive. Se questa ipotesi è vera, Isacco diventò vescovo nell'anno 676 o dopo, ma non oltre il 680, quando il Catholicos Givargis morì.
La fonte anonima siriaca occidentale aggiunge diversi particolari insignificanti della sua biografia. In particolare, questa fonte dice che quando Isacco divenne cieco, i suoi discepoli scrissero i suoi insegnamenti in sua vece. «Era chiamato il secondo Didimo, perché era tranquillo, gentile e umile, e il suo discorso era sempre mite. Mangiava un pezzo di pane con verdure tre volte alla settimana... Ha compilato cinque volumi, noti fino ad oggi, pieni di insegnamenti sublimi...».
Isacco non rimase a lungo nella sua sede episcopale. Un episodio eloquente sulla sua rinuncia al vescovato è sopravvissuta in arabo. Quando Isacco, il primo giorno dopo la consacrazione episcopale era nella sua residenza, ha ricevuto la visita di due uomini, uno dei quali, un uomo ricco, chiedeva che il suo amico gli restituisse il debito: «Se quest'uomo si rifiuta di restituire a me ciò che mi appartiene, sarò costretto a portarlo in tribunale». Isacco gli disse: «Dal momento che il Santo Vangelo ci insegna a non imbrogliare, si dovrebbe dare a questo uomo almeno un giorno di tempo in modo che possa ripagare». Ma l'uomo ricco rispose: «Lascia da parte il Vangelo ora!». Allora Isacco disse: «Se qui l’Evangelo non ha valore, che cosa ci sono venuto a fare?». Vedendo che il ministero episcopale era in contrasto con la sua propensione alla vita eremitica, «il santo rinunciò al vescovato e si ritirò nel deserto di Skete».
L'ultima parte della storia contraddice il «Libro della castità», che afferma che Isacco si ritirò sulle montagne del Khūzestān e non nel deserto egiziano di Skete. Inoltre, è difficile credere che la rinuncia di Isacco al vescovato sia stato causato solo da un episodio. È importare ricordare che al tempo di Isacco di Ninive c’era un centro di attività per i giacobiti «monofisiti», con i quali Isacco, come vescovo «duofisita», era in conflitto. È possibile che essendo lui poco incline a controversie su temi dogmatici, abbia scelto di ritirarsi da Ninive, che era diventata un'arena di conflitto tra le parti contendendi.
I restanti anni della sua vita Isacco li trascorse nel monastero di Rabban Shabura sul Monte Shushtar. La data esatta della morte di Isacco è sconosciuta, così come è sconosciuta la sua data di nascita.
È probabile che Isacco durante la sua vita sia stato venerato come santo. Dopo la morte di Isacco, la sua fama crebbe come i suoi scritti. Giuseppe di Hazzayah, vissuto nell’VIII secolo, lo definì «famoso tra i santi». A partire dall’XI secolo, grazie alla traduzione greca delle sue opere, Isacco divenne noto nell’Oriente di lingua greca: nella famosa antologia di testi ascetici chiamati «Euergetinos», brani tratti dagli scritti di «abba Isacco il Siro» si affiancano alle collezioni dei classici della prima letteratura ascetica bizantina.
E allo stesso tempo la Chiesa d'Oriente continuò a venerare Isacco: i suoi scritti acquisirono maggiore riconoscimento e il suo nome acquisì maggiore autorità. Ciò è confermato dalle numerose fonti scritte. Una di queste risale al XIII secolo ed è un catalogo di scrittori siriaci orientali, il cui autore è Abdisho di Nisibia: il catalogo menziona «sette volumi» di Isacco «sulla vita spirituale, sui misteri divini, sul destino e sulla Provvidenza». In un'altra fonte, che non può essere datata con precisione, ma compilata entro e non oltre il XIV secolo, Isacco viene chiamato «mentore e maestro di tutti i monaci, rifugio di salvezza per il mondo intero».
Nella Chiesa ortodossa la venerazione di Isacco il Siro ha più di mille anni di storia: essa è iniziata dopo la comparsa della traduzione greca delle sue opere e continua ancora oggi. La memoria di Sant’Isacco, vescovo di Ninive, è celebrata nella Chiesa Ortodossa il 10 febbraio (28 gennaio, secondo il vecchio stile), insieme con la memoria di un altro grande scrittore siriaco e asceta - Sant’Efrem il Siro. L’immagine di Isacco il Siro è spesso presente nelle iconostasi e negli affreschi delle chiese ortodosse, così come nelle miniature dei libri. Una delle immagini più note di Isacco, che i partecipanti di questa conferenza possono andare vedere da soli, risale all’inizio del XVI secolo: è nella prima fila dell’iconostasi originale della Cattedrale della Dormizione del Cremlino di Mosca. Attualmente, questa iconostasi è quasi completamente coperta da un’altra, tuttavia, attraverso una «finestra» sul primo livello sono chiaramente visibili le immagini di tre santi, uno dei quali è proprio Sant’Isacco il Siro.
Possiamo considerarlo un «fenomeno ecclesiastico» il fatto che un umile vescovo della Chiesa d'Oriente, da una remota provincia della Persia, sia diventato un santo padre della Chiesa ortodossa post-calcedonese. Tra patrologi russi il primo a notare questo fenomeno è stato padre Georges Florovsky. Nel suo libro «I Padri bizantini del V e VIII secolo» egli scrive: «Ci sono molte cose che nella vita di Sant’Isacco non sono chiare... È stato consacrato vescovo nel monastero di Bet-Bai dal Patriarca George (660-680)... Qui siamo in un ambiente nestoriano e allo stesso tempo è qui che Isacco si allontana da questo ambiente. Non è chiaro il motivo per cui ha lasciato Ninive, possiamo supporre che è stato a causa di disaccordi con il clero locale. Ha vissuto una vita solitaria nel monastero, e tuttavia i suoi insegnamenti sono sublimi. Ha lasciato alle spalle la tradizione antiochena e tuttavia si riferisce al suo mentore molte volte.
Dal momento che la questione sul fatto che Isacco il Siro appartenesse alla Chiesa siriaca d'Oriente era già stata chiarita dagli studiosi al tempo di Florovsky, per tutto il XX secolo questa tesi non è mai stata stata contestata da entrambi gli studiosi russi e occidentali. Tuttavia egli pone un problema per gli studiosi ortodossi: come può un grande santo, venerato in tutta la Chiesa ortodossa, essere una nestoriano? Ci sono stati vari tentativi di rispondere a questa domanda. Florovsky ha preferito non entrare nella discussione del problema, limitandosi ad osservare che Sant’Isacco era una «figura di spicco» nell'ambiente nestoriano. Alcuni hanno visto come soluzione al problema il fatto che Sant’Isacco solo «formalmente» apparteneva alla Chiesa nestoriana. Questa opinione è stata condivisa dal famoso patrologo russo, l’arcivescovo Basilio (Krivoshein): «A giudicare dai dati storici giunti fino a noi, Sant'Isacco è stato per un breve periodo vescovo della città di Ninive, che passò sotto la giurisdizione della Chiesa nestoriana nell'Impero persiano, e tutta la sua vita e il lavoro non si realizzarono all'interno di questa Chiesa. Tuttavia, la Chiesa ortodossa fin dai tempi antichi lo venera come santo e stima altamente le sue opere spirituali, che, ovviamente, non contengono nulla del «nestorianesimo». E certamente io non avrò mai il coraggio di togliergli il titolo di «santo», anche se il fatto della sua appartenenza (anche solo formale) alla Chiesa nestoriana è contraria alla coscienza teologica ortodossa per gravi problemi sulla natura della Chiesa e sulla possibilità della vita di grazia e di santità al di là dei suoi confini visibili».
La tesi della «formale» appartenenza di Sant'Isacco alla Chiesa nestoriana è stata ripetuta ai nostri giorni da Aleksej Sidorov: «Isacco il Siro, appartenente formalmente alla Chiesa nestoriana e pur essendo (anche se per breve tempo) una vescovo nestoriano, ha rivelato nelle sue opere la profondità della contemplazione ortodossa di Dio... la traduzione delle opere di Sant'Isacco in greco e il loro riconoscimento a Bisanzio e nella Rus’ storica come opere di un uomo santo e, infine, la sua canonizzazione da parte della Chiesa ortodossa, dimostrano, a nostro avviso, che lo Spirito Santo permea e vede tutte le cose e che lui non conosce confini formali e i limiti della materia grezza».
Lo studioso avanza la tesi che Sant’Isacco il Siro potrebbe essere appartenuto al movimento pro-Calcedonia all'interno della Chiesa nestoriana. Negli ambienti monastici della Chiesa d'Oriente, dalla fine del VI secolo esisteva una corrente che ha avuto una tendenza verso un’affinità o addirittura una fusione con gli ortodossi dell'orientamento di Calcedonia. A questa corrente appartenevano Inana e Martyrios-Sahdona. Se Isacco il Siro apparteneva anche a questa corrente, la sua abdicazione dalla sede episcopale potrebbe anche essere interpretata come una rottura con la Chiesa d'Oriente e un passaggio segreto verso la posizione di Calcedonia.
Questa ipotesi offre un modo elegante per uscire dalla controversia sull’appartenenza di Isacco il Siro alla Chiesa d'Oriente e sulla sua venerazione nella Chiesa ortodossa.
Questa ipotesi, tuttavia, non è confermata da nessuna fonte affidabile. Gli scritti di Isacco, in particolare i testi in cui si riporta l’anatema del Concilio alla fine del VII secolo, convocato contro Inana, testimoniano il contrario per il fatto che preferisce mantenere la dottrina ufficiale della sua Chiesa e non essere in sintonia con le correnti d'opposizione.
Allo stesso tempo, nulla di esplicitamente nestoriano può essere trovato nella sua cristologia. In ogni caso, lui era lontano da un’interpretazione duofisita della Persona di Gesù Cristo, in cui la Sua immagine è divisa in «due figli»: Isacco il Siro capisce che Cristo è una sola persona - Dio, che è venuto nella carne.
Per quanto riguarda la questione della santità di Sant'Isacco, noi crediamo che poiché non ha mai causato alcun dubbio nei Padri bizantini o russi, che lo hanno venerato per molti secoli, anche noi non abbiamo alcun motivo «per togliere a lui il titolo di santo». Dovrebbe essere tenuto presente che i confini tra le Chiese al tempo di Isacco il Siro non erano definiti così rigidamente come lo sono oggi. Durante il periodo delle controversie dogmatiche (dal IV all’VIII secolo) questi confini dovevano ancora essere formati e non tutti i santi si trovavano in una giurisdizione ecclesiastica dogmaticamente pura. Basti ricordare Sant’Isaia di Skete, compositore di una collezione ben nota di insegnamenti, e San Pietro di Iberia, vescovo di Majuma, asceta di fama, venerato nella Chiesa ortodossa georgiana: entrambi i santi hanno vissuto nella seconda metà del V secolo, non hanno accettato il Concilio di Calcedonia e non hanno seguito le idee monofisite.
Scritti di Sant’Isacco
Le fonti siriache parlano di cinque e poi di sette volumi delle opere di Isacco di Ninive, tuttavia noi non sappiamo se questo è da attribuire a una diversa suddivisione dello stesso corpus di testi che sono giunti fino a noi o ad altre opere perdute di Isacco. Al momento attuale abbiamo a disposizione tre volumi delle opere di Isacco il Siro, che sono all’attenzione degli studiosi.
Il testo originale del primo volume delle opere di Isacco è giunto fino a noi in due edizioni - occidentale e orientale. La prima edizione è stata pubblicata da Bedjan, la seconda comprende una serie di manoscritti, il primo dei quali è datato tra il IX e il X secolo. Le principali differenze tra le due edizioni sono le seguenti: 1. L’edizione orientale contiene numerosi testi e otto discorsi, che sono assenti nell’edizione occidentale; 2. L’edizione occidentale contiene alcuni testi che sono assenti in quella orientale; 3. L’edizione orientale contiene citazioni da Teodoro di Mopsuestia e Diodoro di Tarso: nell’edizione occidentale questi testi sono attribuiti ad altri autori. Sebbene non vi sia alcuna edizione critica del testo del primo volume, un'analisi testuale di entrambe le edizioni, effettuata da D. Miller, ha dimostrato che l’edizione orientale riflette il vero testo di Isacco, mentre l’edizione occidentale è una rielaborazione di questo testo.
È dal testo dell’edizione occidentale che tra l’VIII e il IX secolo Abramios e Patrikios, monaci del monastero di San Saba in Palestina, hanno effettuato la traduzione greca delle opere di Isacco. Grazie a questa traduzione, il mondo cristiano ha scoperto Sant’Isacco, perché da questa traduzione sono state fatte le successive traduzioni di Isacco il Siro in molte altre lingue.
Il primo volume di Isacco il Siro era noto al lettore russo fino a poco tempo fa solo grazie a traduzioni fatte dal testo greco, di cui San Filarete di Mosca dice: «Molto probabilmente il traduttore non era uno studioso, vale a dire non conosceva le regole della grammatica e quindi ha confuso le parole e invece dell’espressione corretta ha messo parole errate e dubbie, ed è possibile anche che tali distorsioni siano state causate dai copisti». Citerò anche il parere di padre Georges Florovsky: «Questa traduzione è chiaramente imprecisa... Nell’originale siriaco c'è meno ordine, più immediatezza». Vorrei aggiungere da parte mia che in siriaco vi è una maggiore chiarezza, anche se ci sono molte espressioni che potrebbero essere comprese e quindi tradotte in vari modi. Nel confronto tra la traduzione greca con l'originale è impossibile non notare che in molti casi il traduttore, che non ha capito completamente il significato del pensiero di Sant’Isacco, abbia tradotto le parole ma non il significato.
La differenza tra l'originale siriaco delle opere di Sant'Isacco e la loro traduzione greca riguarda anche il contenuto e l’ordine delle omelie. Prima di tutto, come ha osservato giustamente l’arcivescovo Filarete (Gumilevskij), «nella traduzione greca sono contenute meno della metà delle opere di Sant'Isacco», dal momento che il secondo e il terzo volume delle sue opere non sono stati tradotti completamente in greco. Infatti, delle originali ottantadue omelie del primo volume, quattordici non sono state tradotte in greco.
D'altra parte, la traduzione greca comprende alcuni discorsi che non non appartengono alla penna di Sant'Isacco, cioè i discorsi 43, 2, 7 e 29, corrispondenti ai discorsi 8, 68, 9 e 20 della traduzione russa di «Parole ascetiche». Nel corpus siriaco degli scritti di Sant’Isacco il Siro questi discorsi non ci sono. Ma sono nel corpus di un altro scrittore mistico siriaco, vissuto nell’VIII secolo - Giovanni di Dalyata; inoltre, manoscritta li attribuisce proprio a questo autore. Il nono discorso di Sant’Isacco il Siro «Sulla vita ascetica», riportato nella traduzione russa, non è altro che la lettera 18 di Giovanni di Dalyatha. I restanti tre discorsi appartengono alla raccolta di lettere di Giovanni di Dalyatha, il cui testo non è ancora stato pubblicato.
Inoltre, la traduzione greca delle opere di Sant’Isacco contiene la «Lettera a San Simeone della Montagna meravigliosa», vissuto nel VI secolo. Sulla base di questa epistola alcuni dei nostri autori pre-rivoluzionari, come l’arcivescovo Serghej (Spasskij), hanno sostenuto che Sant’Isacco non sia vissuto nel VII secolo, ma nel VI secolo. Tuttavia, questa Lettera (Omelia 55 nella traduzione russa) non porta la firma di Isacco il Siro in nessun manoscritto siriaco. In tutti i manoscritti siriaci, così come nelle versioni arabe ed etiopi, la Lettera porta la firma di Philoxène di Mabbug. L'epistola è sopravvissuta in due versioni - una completa ed una abbreviata. La maggior parte dei manoscritti esistenti contengono la versione completa, in cui l'opera è chiamata «Lettera a Patrikios di Edessa». La paternità di Philoxène è confermata da tutta la tradizione manoscritta e da tutti gli studiosi moderni che lavorano nel campo degli studi siriaci.
Un'altra peculiarità della traduzione greca è che tutte le citazioni, da Teodoro di Mopsuestia a Diodoro di Tarso e ad Evagrio, che si trovano nell’originale siriaco delle opere di Sant’Isacco il Siro, o sono escluse del tutto o attribuite ad altri autori, in particolare, a San Gregorio il Teologo e a San Cirillo di Alessandria. Così, ad esempio, l’Omelia 19 del del testo siriaco del primo volume contiene una serie di riferimenti a Teodoro di Mopsuestia: nella traduzione greca questa Omelia è stata omessa. Nella traduzione greca dell’Omelia siriaca 22, due citazioni tratte dai «Pensieri» di Evagrio: «La preghiera è la purezza della mente che sola, tra lo stupore della persona umana, esce dalla luce della Santa Trinità» e «La purezza della mente è la scomparsa di quel che si pensa. Essa viene paragonata al fiore celeste, che durante la preghiera alla luce della Santa Trinità risplende all'interno di essa», sono attribuiti al «Divino Gregorio». La citazione dal «Commento al libro della Genesi del beato Cirillo», contenuta nell’Omelia greca 48 (Omelia russa 90, è in realtà una citazione dal commento dello stesso autore di Teodoro di Mopsuestia. Questa riattribuzione era pienamente ammissibile e legittima per i traduttori e i copisti bizantini.
Tuttavia, le citazioni da Teodoro, Diodoro ed Evagrio sono state attribuite ad altri autori nella versione siriaca occidentale delle opere di Sant’Isacco, che è stata utilizzata per le traduzioni di Abramios e Patrikios. Questa versione è una sorta di rielaborazione «monofisita» delle opere di Sant’Isacco e una serie di omelie dalla versione originale siriaca orientale è stata omessa in essa. La differenza tra la traduzione greca delle opere di Sant’Isacco e l'originale siriaco orientale è in misura significativa determinata dal fatto che Abramios e Patrikios stavano traducendo dalla versione siriaca occidentale.
La traduzione greca di Isacco è letterale e quindi presenta molte ambiguità rispetto all'originale siriaco: in alcuni casi il testo è stato con tutta evidenza tradotto senza una sufficiente attenzione al suo significato. Inoltre, numerosi errori sono stati introdotti nel testo attraverso la traduzione. Questa traduzione è stata pubblicata nel 1770 a Lipsia ed è stata ripubblicata molte volte da allora. Recentemente, il Monastero dell’icona della Madre di Dio di Iviron sul Monte Athos ha preparato e pubblicato l'edizione critica della traduzione greca fatta da Marcel Pirard, che è qui oggi in mezzo a noi.
Una traduzione completa della collezione greca delle Omelie di Isacco il Siro nella lingua slava è stata realizzata dal monaco bulgaro Zaccheo all'inizio del XIV secolo. Prima di questa traduzione, esistevano in lingua slava solo frammenti delle opere di Isacco (in particolare quelli che facevano parte del «Pandette»
di Nikon del Montenegro). Nel secondo trimestre del XIV secolo, sul Monte Athos è stata effettuata un’altra traduzione slava delle «Omelie» di Isacco da parte dello starets Ioánnes. Entrambe le traduzioni hanno ottenuto un’ampia diffusione a partire dal XIV secolo, soprattutto negli ambienti monastici: essa è stata attestata dai numerosi manoscritti superstiti. Alla fine del XVIII secolo, Paisios il Grande ha realizzato una nuova edizione della traduzione slava di Isacco il Siro, pubblicata nel 1812, ma poi censurata e quindi non divulgata fino al 1854, quando fu pubblicata per la seconda volta dal monastero di Optina.
Sempre nel 1854 è stata pubblicata la traduzione completa russa di Isacco il Siro, realizzata dall’Accademia Teologica di Mosca. Nel 1911 il professore Sergej Sobolevskij, docente presso l’Accademia Teologica di Mosca, ha tradotto nuovamente le Omelie di Isacco dal greco. Solo poche Omelie di questo volume sono oggi tradotte dal siriaco, cioè l’Omelia 76, tradotta da Sergej Averintsev, l’Omelia 54, tradotta da me, le Omelie 19, 20 e 21, tradotte anche da me e l’ Omelia 1, tradotta da Alexej Muraviev. Spero che prima o poi nelle mani del lettore russo possa giungere il testo completo del primo volume della traduzione dal siriaco, che sarà un’altra pietra miliare nello sviluppo del grande patrimonio siriaco tra i nostri connazionali.
Per quanto riguarda il secondo volume delle opere di Isacco, gli studiosi hanno saputo della sua esistenza almeno da quando uscì l'edizione di Bedjan: egli pubblicò frammenti di esso secondo il testo del manoscritto che più tardi, nel 1918, è andato perduto. Tuttavia, nel 1983 il professore Sebastian Brock ha scoperto nella Biblioteca Bodleian di Oxford un altro manoscritto, contenente il testo completo del secondo volume e risalente al X o XI secolo. Da questo manoscritto il professor Brock ha preparato la sua edizione sui Discorsi 4-44 del secondo volume, che comprende circa la metà del suo contenuto. L'altra metà del volume include i Discorsi 1-3, l’ultimo dei quali è diviso in 400 capitoli sotto il titolo generale «I capitoli sulla conoscenza». Questa collezione attende ancora la pubblicazione, anche se sono già apparse le sue traduzioni complete o parziali in un certo numero di lingue europee.
Sul secondo volume delle opere di Isacco il Siro Sebastian Brock scrive: «L'intera tradizione manoscritta, che comprende i vari manoscritti delle tre Chiese (la Chiesa d'Oriente, la Chiesa ortodossa bizantina e la Chiesa ortodossa siriaca), è unanime nell'attribuire il secondo il volume a Sant’Isacco... I contenuti di entrambi i volumi testimoniano che essi hanno un unico autore: in entrambi i volumi ci sono termini caratteristici comuni, così come numerose coincidenze nella fraseologia... Tutto questo testimonia il fatto che l'onere di provare la sua autenticità non sia su coloro che credono che l'autore del primo volume sia anche l'autore del secondo, ma su coloro che sono convinti del contrario».
Così, il secondo volume appartiene a colui che ha scritto il primo. E benché ci siano stati scrittori russi nel 1990 che abbiano espresso dubbi sull'autenticità di questo volume, noi vi presentiamo le principali prove a favore della sua autenticità.
Prima di tutto, occorre dire che i discorsi del secondo volume sono completamente o parzialmente presenti in tutti e nove i manoscritti oggi noti agli studiosi, e tutti riportano il nome di Isacco. Se teniamo presente che le opere di alcuni Padri (per non parlare delle opere di molti autori dell'antichità) sono giunti fino a noi in uno o due manoscritti, è possibile concludere che così tanti manoscritti, contenenti gli scritti del secondo volume e unanimemente attribuiti a Isacco, sono la prova evidente dell’autenticità degli stessi.
Dobbiamo anche ricordare che i manoscritti siriaci contenenti il corpus a noi noto «Parole ascetiche», terminano con la seguente osservazione: « Qui finisce, con l'aiuto di Dio, la prima parte dell'insegnamento di mar Isacco monaco». I manoscritti contenenti il secondo volume, invece, iniziano con le parole: «Stiamo copiando il secondo volume di mar Isacco, vescovo di Ninive». In questo modo nella tradizione manoscritta siriaca il secondo volume è pensato come una continuazione del primo.
Si noti inoltre che due Discorsi del secondo volume sono identici a due Omelie del primo volume, ossia, il Discorso 16 del secondo volume corrisponde all’Omelia 54 del primo volume, e il Discorso 17 del secondo volume corrisponde all’Omelia 55 del primo volume.
Inoltre, nel testo del secondo volume ci sono parecchi riferimenti alle Omelie del primo volume. Così, ad esempio, nel Discorso 3 del secondo volume (vale a dire nel capitolo 41 della sua prima raccolta), l'autore dice: «Ho scritto questo libro per mia memoria in quanto ho appreso dalla Scrittura e un pò dalla mia esperienza: ho indicato questo all'inizio del libro». Con «l'inizio del libro» si intende l’Omelia 14 del testo siriaco del primo volume, in cui l'autore scrive: «Ho scritto questo per mia memoria e per ogni lettore, in quanto ho potuto imparare dalla Scrittura... e un pò dalla mia esperienza». Nel Discorso 32 del secondo volume l'autore dice: «Per quanto riguarda questo ordine, se qualcuno vuole ascoltare con attenzione, bisogna leggere tutta l'Omelia sopra riportata, che noi abbiamo scritto sulla preghiera spirituale». In riferimento a questo nel manoscritto c’è una nota a margine: «Questa Omelia è stata scritta nella prima parte». Essa si riferisce all'Omelia 22 del primo volume, dedicata alla preghiera. Così è del tutto evidente che i testi relativi al primo e secondo volume sono stati scritti dallo stesso autore, che li vede come un unico «libro».
Ci sono molti altri fattori che confermano che entrambi i volumi appartengono allo stesso autore. Uno è lo stesso vocabolario ascetico usato in entrambi i volumi: ciò riguarda i termini come ihidaya (eremita, monaco), šelya (silenzio), dubbara (comportamento, stile di vita, modo di essere, ascetismo ), sukkale (intuizioni, pensieri), zaw'e (movimenti, intenzioni, scoperte), temha (stupore), lebba (cuore), hawna (mente), re'yana (ragione), mad'a (idea, pensiero, coscienza, mente), herga (meditazione), te'orya (contemplazione), pulhana (ministero, servizio), 'enyana (conversazione), maggnanuta (firma), gelyana (rivelazione), nahhiruta (illuminazione), qutta'a (scoraggiamento), 'arpella (buio, tenebre) ed altri. Anche un termine raro come qestonare («torturatori», «guardie», «investigatori»), preso in prestito dal latino attraverso la trascrizione greca, si incontra nelle opere di Sant’Isacco il Siro due volte - una volta nel primo volume (Omelia 58), e ancora una volta nel secondo volume (Discorso 9), anche se alla menzione di qestonare - «carnefici» - nel secondo volume Sant'Isacco aggiunge: «di cui si è parlato in precedenza», che può essere interpretato come un riferimento al primo volume.
In entrambi i volumi incontriamo idiomi identici come «contemplazione spirituale» (te'orya d-ruh), «preghiera spirituale» (slota ruhanayta), «preghiera pura (slota dkita), «preghiera segreta» (slota kasya), «preghiera del cuore» (slota d- lebba) , «lavoro della preghiera» ('amla da -slota), «silenzio della ragione» (šetqa d-re'yana), «luce nascosta» (nuhra kasya), «servizio riservato» (pulhana kasya), «senso spirituale della vita» (dubbara ruhana), «conoscenza spirituale» (ida'ta d-ruh), «vita (ascesi) in silenzio» (dubbare dab-šelya), «misteri spirituali» (raze ruhane), «illuminazione spirituale» (ruhanaye sukkale), «umiltà del cuore» (mukkaka d-lebba), «movimenti dell'anima» (zaw'e d-napša), «ministero della virtù» (pulhana da-myattruta), «mare del mondo» (yammeh d-'alma), «arca del pentimento» (elpa da-tyabuta), «vita nuova» ('alma hadta), «discorso della conoscenza» ('enyana d-ida'ta), «modo di pensare infantile» (šabrut tar'ita), «ebbrezza in Dio» (rawwayuta db-alaha), «scritti dello Spirito» (ktabay ruha), «rivelazione divina» (gelyana alahaya), «divina provvidenza» (huššaba alahaya), «silenzio interiore» (šelyuta gawwayta), «umiltà della ragione» (mukkaka d-puršane), «stupore in Dio» (tehra db-alaha), «il silenzio del mare» (yamma d-šelya, yamma d- šelyuta), «perfezione della conoscenza» (gmiruta d-ida'ta) e molti altri.
Entrambi i volumi sono caratterizzati da una costruzione simile nelle immagini. In particolare, entrambi i volumi utilizzano immagini marine - la nave, il mare, le onde, la vela, il timone, il tuffatore, le perle e così via.
La tematica di entrambi i volumi coincide in misura significativa. In entrambi abbiamo a che fare con l'amore di Dio, il silenzio e la vita dell'eremita, la lettura della Scrittura e le veglie notturne, la preghiera dinanzi alla Croce e le suppliche, lo sconforto e l'abbandono di Dio, l’umiltà e le lacrime, lo stupore e «l’ebbrezza» dell'amore di Dio.
Sia il primo che il secondo volume contengono riferimenti a scrittori autorevoli della tradizione siriaca orientale come Evagrio Pontico, Teodoro di Mopsuestia e Diodoro di Tarso.
E, infine, lo stile, la grammatica, la sintassi di entrambi i volumi testimoniano incontrovertibilmente il fatto che sono stati scritti da uno stesso autore. Coloro che desiderano verificare questo dovrebbero confrontare entrambi i volumi ai testi siriaci. È impossibile fare un simile paragone utilizzando solo le traduzioni russe. Ciò che è stato detto sopra per quanto riguarda l'autenticità del secondo volume, riguarda allo stesso modo il terzo volume delle opere di Isacco il Siro, ora introdotto nella comunità scientifica. È vero che questo volume è stato conosciuto da un unico manoscritto più tardi. Tuttavia, questo manoscritto, datato approssimativamente intorno al 1900, è la copia di un manoscritto molto più antecedente. Esso contiene 133 pagine, di cui le prime undici contengono le opere di Isacco il Siro -17 Omelie, in cui i contenuti, il linguaggio, lo stile e la sintassi sono vicine a quelle che formano parte del primo e del secondo volume. Allo stesso tempo, le Omelie 14 e 15 del terzo volume sono conformi alle Omelie 22 e 40 del primo volume, mentre l’Omelia 17 corrisponde al Discorso 25 dal secondo volume.
I Discorsi 1 e 2 e 4-44 del secondo volume delle opere di Isacco il Siro sono state tradotte in russo. Questa traduzione, fatta da me nel 1998, ha avuto negli anni successivi sette edizioni. Inoltre, sono state tradotte alcune parti dei capitoli sulla conoscenza (Discorso 3 del secondo volume). Per quanto riguarda il terzo volume, non è stato ancora tradotto, con l'eccezione dell’Omelia 17 (tradotta come parte del Discorso 25 del secondo volume).
Non vi è alcuna prova dell'esistenza nella tradizione manoscritta siriaca di un quarto volume delle opere di Isacco. Tuttavia, un certo numero di manoscritti citati nei cataloghi delle biblioteche dell'Oriente cristiano contiene una piccola raccolta di Omelie del «Quinto volume del divino uomo Isacco, santo ed eremita, vescovo di Ninive». Il testo di questi manoscritti è poco conosciuto e gli studiosi non sono concordi nell’attribuirli a Isacco. Tenendo presente, però, che un certo numero di fonti siriache parla di cinque volumi delle opere di Isacco, ci si può aspettare che in questa piccola collezione poco conosciuta si possano trovare opere autentiche del santo.
Conclusione
L'attuale conferenza, che ha riunito i maggiori esperti di Patristica siriaca, una vera e propria parata di forze accademiche, darà un contributo significativo alla causa dello studio del patrimonio di Sant’Isacco il Siro. Ognuno dei relatori condividerà i risultati delle sue ricerche e parlerà delle scoperte scientifiche che ha fatto nel leggere le opere del grande Padre della Chiesa siriana. Durante la conferenza saranno esaminati i vari problemi connessi all'esistenza delle opere di Isacco nella tradizione manoscritta, nelle varie edizioni e traduzioni, nonché i diversi aspetti del suo insegnamento teologico, morale, ascetico e mistico.
Vorrei sperare che questa conferenza rappresenti un nuovo passo avanti nello studio dell’eredità di Isacco il Siro, che ispiri i giovani studiosi, tra cui gli studenti presenti qui, in nuove ricerche. La scienza patristica è un mare sconfinato, in cui esperti subacquei trovano sempre nuove perle. La più significativa di queste perle, alla fine del XX secolo, è stata la scoperta del secondo volume delle opere di Isacco il Siro, mentre l'inizio del XXI secolo ha segnato l'avvento del lavoro scientifico su una nuova scoperta - il terzo volume delle sue opere. Eppure, anche quelle opere che sono ben note, non tutte sono state studiate e molte rimangono inedite e non tradotte nelle lingue moderne. Le opere di Isacco il Siro, su cui più di una generazione di monaci d'Oriente e d'Occidente si è formata, sono un vasto campo per nuove ricerche. E più impariamo a conoscere Sant'Isacco, più preziosa ed attraente diventa per noi la sua immagine.
Vorrei esprimere la speranza che dopo la prima conferenza di Patristica della Scuola di dottorato e alti studi teologici dei Santi Cirillo e Metodio, seguiranno altre conferenze dedicate alle opere dei Padri della Chiesa - greci, latini e orientali. Lo sviluppo dell'eredità patristica nella nostra Patria richiede un salto qualitativo, e vorrei sperare che i forum accademici, come questo, diventino una buona tradizione e consentano la formazione di una nuova generazione di studiosi, per i quali la ricerca di perle spirituali nel mare degli scritti patristici diventi un impegno per tutta la vita».
(Traduzione del testo dal russo in italiano a cura della redazione)
Sua Eminenza il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca
Sebastian Brock
Isacco il Siro (Kostroma, XVII sec.)