A proposito di comunicazione...


Lettere dal gulag del grande matematico e filosofo russo Florenskij.

In una delle tante lettere inviate alla famiglia durante la sua prigionia nel gulag delle isole Solovki, uno dei più terribili luoghi di repressione della dittatura staliniana, Florenskij scrive al figlio Kirill (1915-1982), geologo e astronomo russo.

N. 92 – 21 febbraio 1937 - Solovki

“Caro Kirill,
da così tanto tempo non mi hai mandato tue notizie, che sono preoccupato per te. Dalle Solovki a Moskva le lettere viaggiano ora alla velocità media di un mese, cosicché anche ciò che vengo a sapere di te spesso è troppo arretrato. Ecco, a proposito, un tema di riflessione per te: la velocità finita delle comunicazioni annulla il concetto di contemporaneità. Ne deriva il principio minore della relatività: la velocità massima di comunicazione esistente al mondo è quella delle onde elettromagnetiche. Per quanto elevata sia, essa è comunque finita, e perciò non possiamo stabilire se due avvenimenti siano contemporanei o no. A causa delle grandi velocità delle comunicazioni, siamo abituati ad astrarci dalla velocità finita e a sostituirla con quella infinita, a dispetto della realtà fisica del processo della comunicazione. Siamo cioè abituati a pensare che vediamo un dato evento nel momento stesso in cui esso si verifica, e quando invece ci accorgiamo del contrario, cerchiamo di spiegare questo caso come qualcosa di particolare, di esclusivo, rimanendo fermi nella convinzione che, se ci avessimo provato, avremmo potuto vederlo nel momento in cui avveniva. Il principio(minore) della relatività si basa semplicemente sul carattere necessario di questo fatto, che tutti conoscono ma con cui nessuno fa i conti nella vita concreta. In parole povere, nella vita concreta noi riconosciamo la comunicazione o la sua possibilità direttamente, non attraverso lo spazio, ma al di sopra dello spazio, senza tener conto della percezione.
Questa convinzione irrinunciabile, che è in piena contraddizione con la realtà fisica, o deve essere respinta categoricamente con tutte le conseguenze che ne derivano, o, al contrario, occorre riconoscere che è veramente possibile una comunicazione con mezzi non fisici, o su un terreno non fisico: deve allora essere ricostruita quella teoria della conoscenza cui si attiene la maggioranza delle persone, deve essere ricostruita dalla base e, anche in tal caso, con tutte le conseguenze che ne derivano. Noi conosciamo una cosa non perché la vediamo, la udiamo, la fiutiamo e la tocchiamo, ma al contrario: se vediamo, udiamo, fiutiamo e tocchiamo, è perché già prima conosciamo la cosa, cogliendola (anche se inconsciamente o al di sopra della coscienza) nella sua autenticità e nella sua realtà diretta. La percezione, allora, deve essere considerata solo come materiale per il trasferimento della cosa dalla sfera inconscia a quella cosciente, e non come materiale del contenuto stesso della conoscenza.
Per me ciò è del tutto chiaro, ma non so se sia riuscito a spiegarti l’essenza della questione. O (…)² attraverso lo spazio fisico, e allora [ne deriva] il principio della relatività e la negazione della contemporaneità; oppure la percezione è al di là dello spazio fisico e allora [rimane] la possibilità di accettare la contemporaneità. Ancora: o le cose e i fenomeni come causa della conoscenza, oppure le cose e i fenomeni come percepibili direttamente, ma in rapporto di causalità, come contenuti della conoscenza.
Del resto, non volevo scriverti di questo, ma delle mie opere, o, più precisamente, del loro senso, della loro essenza interiore, perché tu possa continuare questo corso del pensiero, a cui la sorte non mi permette più di dar forma, e possa, non portarlo alla fine - perché la fine qua non c’è -, ma renderlo comprensibile agli altri.
Che cosa ho fatto io per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme, come un quadro e una realtà unica, ma in ogni istante o, più precisamente, in ogni fase della mia vita, da un determinato angolo di osservazione. Ho esaminato i rapporti universali in un certo spaccato del mondo, seguendo una determinata direzione, in un determinato piano, e ho cercato di comprendere la struttura del mondo a partire da quella sua caratteristica, di cui mi occupavo in quella fase. I piani di questo spaccato mutano, tuttavia un piano non annulla l’altro, ma lo arricchiva, cambiando: ossia con una continua dialettica del pensiero (il cambio dei piani in esame, con la costante dell’orientamento verso il mondo come un insieme).
Ho cercato in modo troppo astratto e generale. In concreto, però, si tratta di aver studiato il significato, in tutte le sfere della natura, di uno o di un altro elemento chimico, composto, tipo di composto, tipo di sistema, forma geometrica, combinazione, tipo biologico, formazione ecc., per cogliere l’aspetto individuale di questo elemento della natura come qualitativamente singolare e insostituibile. Contro il meccanicismo rude e il meccanicismo fine che nega la qualità, si evidenzia la natura originale qualitativamente particolare dei singoli elementi, universali per il loro significato e individuali per la loro essenza. “Che cos’è l’universale? E’ un caso particolare” (Goethe). Lavoro sempre nell’ambito dei casi particolari, ma vedendo in essi una manifestazione, un fenomeno concreto dell’universale, cioè esaminando l’εϊδος platonico-aristotelico (Urphänomen, Goethe)³.
Mio padre mi diceva della mia non predisposizione al pensiero astratto e alla ricerca particolare in quanto tale: “La tua forza è lì dove il concreto si concilia con il generale”. E’ vero4. Ma io penso che tu, Kirill, per la tua mentalità, abbia ereditato lo stesso orientamento di pensiero e possa pertanto continuarlo. So che mi rimproverano sempre di essere dispersivo. E’ giusto, ma forse solo sembra così, perché sono stato così dalla prima infanzia fino all’approccio di oggi. Forse io non ne avrò le forze, ma non si tratta affatto di essere dispersivi, bensì del fatto che è un compito troppo faticoso.
Ora sto riflettendo sulla questione (…)5 e chiaramente, ancora una volta, non parto da affermazioni e supposizioni generali astratte, ma seguo la strada della sintesi e dell’approfondimento dei casi concreti specifici, i quali cerco di cogliere in tutta la loro concretezza. Fin quando io stesso, con le mie mani, non ho pesato, sminuzzato, effettuato le analisi, calcolato, non capisco un fenomeno. Posso, sì, parlarne e ragionarne, ma non è ancora diventato mio. Ecco, proprio questo lavoro “grossolano” porta via tempo ed energie. Non è che non possa, ma non voglio permettermi di accostarmi ai fenomeni in modo “generale” e astratto. Se passassi sopra a questo mio sentimento, nessuno, probabilmente, lo noterebbe; ma dinanzi al decoro astratto del pensiero, a me stesso viene un senso di disonestà e di ciarlataneria, e proprio così vedo la maggior parte delle generalizzazioni fatte dagli altri ricercatori. Invece, in ciò che è particolare e concreto deve risplendere ciò che è generale: l’universale.
Un bacio forte a te, caro Kira. Ti ho scritto tutto questo nella speranza che possa riuscirti utile.

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¹ All’inizio del 1937 fu annunciata la progressiva liquidazione dell’industria del lager per il trattamento delle alghe. La liquidazione venne ordinata dalle autorità del NKVD, che decisero di ristrutturare il lager per ospitare la “Prigione a destinazione speciale delle Solovki” (fino al 2 novembre 1939, quando la guerra indusse le autorità a spostare i detenuti “al sicuro” in Siberia, e a creare alle Solovki una base della marina militare). In seguito a ciò, parte dei detenuti passò al regime carcerario, parte venne liquidata: nell’ottobre 1937 la Trojka speciale della regione di Leningrado ordinò di fucilare 1825 prigionieri dell’ex lager, tra i quali P.A. Florenskij.

² Illegibile nel manoscritto. Probabilmente (dalla logica del discorso): “La percezione passa”. (NdT)

³ Florenskij trattò questo argomento in alcuni dei suoi scritti, in particolare in Il significato dell’idealismo (1915), cit.

4 Nei Ricordi Florenskij scrisse: “Ricordo che, molti anni fa, mio padre, quand’ero ancora in una delle classi medie del ginnasio, mi fece notare che la mia forza non è nell’analisi del particolare, e nemmeno nel pensiero del generale, ma là dove essi si uniscono, sul confine del generale e del particolare, dell’astratto e del concreto. Forse mio padre aggiunse ancora: “Sul confine della poesia e della scienza”, ma di quest’ultima cosa io non ricordo con certezza (Ai miei figli, cit., 156).

5 Illeggibile nel manoscritto. (NdT)

Pavel Pavel Florenskij, sacerdote