Il Genocidio Armeno. Nel centenario della memoria del «Metz Yeghèrn»

L’espressione Genocidio Armeno, talvolta Olocausto degli Armeni[1][2] o Massacro degli Armeni, in lingua armena Metz Yeghèrn «Grande Male», in turco Ermeni Soykırımı «Genocidio armeno», a cui talvolta viene anteposta la parola «sözde», «cosiddetto», si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo è relativo alla campagna contro gli armeni condotta dal sultano ottomano Abdul-Hamid II negli anni 1894-1896; il secondo è collegato alla deportazione ed eliminazione degli armeni negli anni 1915-1916. Il termine genocidio è associato soprattutto al secondo episodio, che viene commemorato dagli armeni il 24 aprile.
Il 24 aprile 2010 è stato commemorato il 95º anniversario di questo genocidio[3].
Nella seduta del Senato della Repubblica Italiana, il 24 aprile 2012 è stata ricordata questa immane tragedia ed è stato rilevato che «...vi sono in Italia e nel mondo comunità armene che per tutto l'anno, ma in modo particolare in questo giorno, tengono vivo il senso di una storia, di una cultura, della vicenda di un popolo che non appartiene soltanto a quel popolo ma alla coscienza europea e mondiale».
Da alcuni anni una parte della società civile turca organizza con coraggio la commemorazione del genocidio armeno. Un pò alla volta si è andato formando ed ampliando un circolo virtuoso di verità e di giustizia, che riunisce sempre più persone, unite in una commovente dimostrazione di umanità per far fronte al discorso negazionista ufficiale.
Nel 2013, per la prima volta in quasi un secolo, una delegazione composta da dirigenti della diaspora armena e da dirigenti antirazzisti europei ha preso parte alle commemorazioni in Turchia, rispondendo all’appello di solidarietà lanciato dalla società civile turca.
La campagna delle presidenziali del prossimo mese di agosto in Turchia, le prime con il voto popolare diretto, ha spinto il primo ministro Tayyep Erdogan, reduce dalla vittoria nelle amministrative ma anche da un periodo critico per gli scandali della Tangentopoli turca, a varcare una delle «linee rosse» della repubblica fondata da Kemal Ataturk.
Ad un anno dal centenario della tragedia armena del 1915, Erdogan ha compiuto una mossa coraggiosa e senza precedenti offrendo le sue condoglianze ai discendenti delle vittime e parlando di «conseguenze inumane» di quel massacro. Erdogan, però, non ha fatto cenno alle responsabilità del governo ottomano affermando «che quello fu un periodo difficile, con sofferenze di milioni di cittadini dell'Impero, turchi, arabi, curdi, armeni». Un aspetto che gli armeni hanno subito colto. Il presidente armeno Serzh Sarkyan ha risposto che la Turchia continua a negare il genocidio ma ha affermato allo stesso tempo che «i turchi sono un popolo amico».
In quel periodo storico l'Impero Ottomano condusse (o almeno tollerò) attacchi simili anche contro altre etnie (come gli assiri e i greci), e per questo alcuni studiosi credono che in realtà ci fosse un progetto di sterminio[4]. Sull'argomento è stato scritto il romanzo «La masseria delle allodole», di Antonia Arslan, da cui è stato tratto il film dei fratelli Taviani.
Al primo romanzo ne è seguito un secondo, «La strada di Smirne», in cui l'autrice racconta l'assedio e la distruzione della città di Smirne e la definitiva espulsione della minoranza greca e armena dall'Asia Minore, dopo ben duemila anni di presenza ininterrotta. Smirne fu messa a ferro e fuoco e migliaia di armeni e greci perirono.
Sul piano internazionale, finora ventuno Stati[5] hanno già ufficialmente riconosciuto un genocidio negli eventi descritti[6][7][8][9].

Primo massacro armeno

Nel 1890 nell'Impero Ottomano si contavano circa due milioni di armeni, in maggioranza cristiano-ortodossi. Gli armeni erano sostenuti dalla Russia nella loro lotta per l'indipendenza, poiché la Russia aspirava ad indebolire l'Impero Ottomano. Per reprimere il movimento autonomista armeno, il Governo Ottomano incoraggiò fra i curdi, con i quali condivideva il territorio nell'Armenia storica, sentimenti di odio contro la locale popolazione armena.
L'oppressione che dovettero subire dai curdi e l'aumento delle tasse imposto dal governo turco esasperò gli armeni fino alla rivolta, alla quale l'esercito ottomano, affiancato da milizie irregolari curde, rispose assassinando migliaia di armeni e bruciandone i villaggi (1894).
Due anni dopo, probabilmente per ottenere visibilità internazionale, alcuni rivoluzionari armeni occuparono la banca ottomana ad Istanbul. La reazione fu un pogrom anti-armeno da parte di turchi ottomani, in cui persero la vita cinquantamila armeni.

Secondo massacro armeno

Nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale, all'Impero Ottomano era succeduto il governo dei «Giovani Turchi». Costoro temevano che gli armeni potessero allearsi con i russi, di cui erano nemici. Il 1909 registrò un eccidio di almeno trentamila persone nella regione della Cilicia[10].
Nel 1915 alcuni battaglioni armeni dell'esercito russo cominciarono a reclutare fra le loro fila armeni che in precedenza avevano militato nell'esercito ottomano. Intanto l'esercito francese finanziava e armava a sua volta gli armeni, incitandoli alla rivolta contro il nascente potere repubblicano[11]. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l'élite armena di Costantinopoli. L'operazione proseguì l'indomani e nei giorni seguenti. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al Parlamento, furono deportati verso l'interno dell'Anatolia e massacrati lungo la strada.
Arresti e deportazioni furono compiuti in massima parte dai «Giovani Turchi». Nelle marce della morte, che coinvolsero un milione e duecentomila persone, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento. Queste marce della morte furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell'esercito tedesco in collegamento con l'esercito turco, secondo le alleanze ancora valide tra Germania e Impero Ottomano (e oggi con la Turchia) e si possono considerare come «prova generale» ante litteram delle più note marce ai danni dei deportati ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale[12][13][14]. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall'esercito turco. Le fotografie di Armin T. Wegner sono la testimonianza di quei fatti[15].
Malgrado le controversie storico-politiche, che saranno trattate nella sezione che segue, un ampio ventaglio di analisti concorda nel qualificare questo accadimento come il primo genocidio moderno[16][17][18], e soprattutto molte fonti occidentali enfatizzano la «scientifica» programmazione delle esecuzioni[19].
Con il senno di poi, si può affermare che non c’è stata una sufficiente memoria storica nel condannare questo genocidio, altrimenti fatti tragici del genere non si sarebbero ripetuti durante gli anni bui del secolo appena passato anche nei confronti del popolo ebraico, russo...
Da una citazione sul genocidio armeno: «Sai cosa disse Hitler ai suoi generali per convincerli che il suo piano non poteva suscitare obiezioni? Qualcuno al mondo si è accorto dello sterminio degli Armeni?» (Ararat - Il monte dell'Arca).
Si trattò di una questione, oltre che morale ed etica, soprattutto tecnicamente giuridica: l’assassinio di una intera nazione. Ed è proprio per questo motivo che i giudici turchi della Corte marziale, che portò in giudizio i dirigenti politici del Comitato Unione e Progresso (Giovani Turchi) e i capi militari del periodo di guerra, li accusarono il 26 aprile 1919 di «deportazioni... e sterminio di tutto un popolo che costituiva una comunità distinta». Dopo tre mesi, il 19 luglio 1919, il verdetto della Corte marziale condannò a morte in contumacia i principali dirigenti dell’epoca (tra loro i triumviri Taalat Pascià, Enver Pascià e Ahmed Gemal) e a quindici anni personaggi ritenuti di secondo piano.
Negli anni 1913-1916, di fronte al luogo dove era di stanza dal 1928 il reggimento cosacco del Kuban, che liberò l’Armenia dal giogo ottomano, è stato costruito a Yerevan, nella contea di Kanaker, il tempio della Santa Protezione della Madre di Dio. Ora è di stanza in questo luogo una delle basi militari russe.
In epoca sovietica la chiesa venne chiusa e utilizzata come magazzino, poi come club per i militari. I servizi divini sono ripresi nel 1991.

Numero dei morti

L'esatto numero di morti è controverso. Le fonti turche tendono a minimizzare la cifra, quelle armene a gonfiarla.
Nel 1896 il governo ottomano registrava in 1.440.000 gli armeni residenti in Anatolia. Secondo il Patriarcato armeno di Costantinopoli, nel 1914 gli Armeni anatolici andavano da un minimo di 1.845.000 ad un massimo di 2.100.000. Le stime variano da un minimo di 950.000, secondo le fonti scritte turche, fino a 3.500.000 secondo le ipotesi degli Armeni.
Lo storico Arnold J. Toynbee, che fu ufficiale dell'intelligence britannica in Anatolia nella prima guerra mondiale, stima in 1.800.000 il numero complessivo degli armeni di quel Paese. L'Enciclopedia Britannica indica come probabile il numero di 1.750.000[20][21].
Il numero degli armeni morti nel secondo massacro è ancora più controverso. Fonti turche stimano il numero dei morti in 200.000, mentre quelle armene arrivano a 2.500.000. Talat Pasha, Gran Visir nel 1917-1918 e importante «Giovane Turco», stima la cifra in 300.000 morti.
Arnold Toynbee ritiene che i morti furono 600.000, come pure McCarthy. Gli storici stimano che la cifra varia fra i 500.000 e i 2.000.000 di morti, ma il totale di 1.200.000/1.300.000 è quello più diffuso e comunemente accettato.
La Chiesa apostolica armena nel 2011 ha deciso di canonizzare un milione e mezzo di armeni morti per la loro fede durante il genocidio.

Conclusione

In Turchia non si ricorda il 24 aprile, Giorno della memoria del Genocidio degli Armeni. È vietato per legge. Almeno fino ad oggi.
Malgrado i numerosi appelli di tanti intellettuali e membri della società civile turca, lo Stato non ha ancora riconosciuto questa immane tragedia. Il governo di Erdogan ci è andato vicino, ma forse anche per questo motivo sta pagando una pesante frattura. I turchi onesti oggi devono fare una serie di conti con il passato per crearsi un presente dignitoso. La questione armena non è la sola. Esistono anche la questione curda, i diritti umani, la situazione sociale, la questione cipriota, le relazioni con i vicini (Grecia, Siria, Iran, ecc.).
Numerosi intellettuali turchi, da anni sono costretti a vivere fuori dalla Turchia e tantissimi sono stati giudicati in contumacia per reati di opinione. Il più grande sociologo turco vivente, Taner Akcam, è esule negli Stati Uniti.
Il Premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, il giorno dopo l’assassinio di Hrant Dink, ha preso il primo aereo per la stessa destinazione. A Parigi ci sono più intellettuali turchi che a Izmir.
I turchi sono un popolo mite e buono; questa loro eccessiva bontà ha fatto sì che numerosi capi, anche nella storia recente, abbiano potuto manipolare i sentimenti nazionali e soprattutto religiosi della popolazione, creando situazioni inaccettabili per il futuro. Sono una grande nazione e non devono temere le conseguenze, che saranno sicuramente più edificanti dell’attuale situazione. I principali popoli con i quali hanno avuto epiloghi tragici sono tutti loro vicini, sono popoli con cui hanno vissuto lunghi periodi di pace e di prosperità. E pensare che loro stessi chiamavano gli armeni Millet-i Sadika (popolo fedele).
Gli armeni hanno dovuto fare i conti giorno per giorno con i loro vicini, con tante realtà politico-militari che hanno occupato la loro terra durante lunghi secoli. Le sue radici affondano in una storia plurimillenaria. È noto che anche gli storici dell’antica Grecia parlavano degli armeni e dell’Armenia. Dalla caduta del regno di Cilicia nel 1375 alla nascita della prima Repubblica Armena nel 1918, per più di cinque secoli l’Armenia non ha avuto uno Stato centrale ed è stata governata nelle autonomie locali con la presenza delle forze straniere. Già nel 1009 i Selgiuchidi avevano iniziato a occupare la parte orientale dell’Armenia. In seguito ci fu la presenza degli arabi e poi, di volta in volta, la spartizione della terra armena fra i grandi imperi. Le lotte più tremende, però, avvennero nei confronti del nazionalismo turco.
Malgrado ciò, sul territorio geograficamente chiamato Armenia non ha mai cessato di esistere il popolo armeno, anche sotto numerose dominazioni (araba, persiana, ottomana e russa).
I due anni della Repubblica Armena Indipendente, nata dopo il genocidio del 1915, sono stati il preludio difficilissimo della Repubblica Sovietica Socialista dell’Armenia, che faceva parte dell’Urss. Per settant’anni, fino al 1991, è stato un angolo di rinascita per il popolo armeno. E cosa mai vista nella storia dell’Unione Sovietica, dal 1948 numerose famiglie armene decisero di trasferirsi nell’Armenia Sovietica, acquisendone la cittadinanza.
L’Armenia è diventata un Paese indipendente nel 1991. Oggi è situato su un decimo del suo territorio storico, è la periferia di se stessa.
Si estende su circa trentamila chilometri quadrati ed ha una popolazione di circa tre milioni e duecentomila abitanti. Il blocco attuato dalla Turchia alle sue frontiere, non aiuta lo sviluppo del Paese, ma gli armeni sono ben allenati a vivere in condizioni difficili, prosperano lo stesso con un certo aiuto dai loro fratelli della diaspora.
Prima ancora di guarire dalle ferite del genocidio, il popolo armeno ha dovuto sopportare anche quelle della Seconda Guerra Mondiale, in cui 250 mila soldati armeni sono caduti con l’esercito dell’Unione Sovietica combattendo contro il nazismo. Fra i primi gruppi di soldati sovietici che entrarono a Berlino, c’erano numerosi giovani del corpo di spedizione formato esclusivamente da armeni.
Uno dei problemi legati al periodo sovietico è stato quello del Nagorno Gharabagh. Questo «malessere» nacque a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 del secolo appena trascorso. Durante questo periodo vi fu un vero benessere per i figli dei sopravvissuti al primo genocidio del XX secolo. Il terribile terremoto del 1989 si presentò come un detonatore del malessere degli armeni caucasici, già assillati dal silenzio del potere centrale moscovita nei confronti del Nagorno Gharabagh. Questa popolazione aveva continuato civilmente a chiedere, nell’ambito della legislazione vigente sovietica, una maggiore autonomia e la liberazione dal sopruso delle autorità azerbaigiane, cui era stata consegnata un’intera regione a maggioranza marcatamente armena, circa il 97% della popolazione residente. Quale risposta alle richieste armene, le autorità locali azerbaigiane, approfittando anche della situazione molto confusa delle autorità sovietiche, ormai arrivate alla fine della propria storia, prepararono con cura un eccidio nella località di Sumgait. Questo è un importante sobborgo di Baku, capitale dell’Azerbaigian, dove abitavano migliaia di armeni, ingegneri e operai specializzati nel settore dell’estrazione del petrolio. L’intento era di dare indirettamente un segnale forte agli armeni, facendo capire che, se avessero continuato a richiedere più libertà e autonomia, la pazienza degli azeri poteva essere colma. In una notte furono trucidati centinaia di armeni, donne violentate, bambini soffocati nelle loro culle. Atrocità gratuite di ogni genere, che sconvolsero l’intera armenità.
Il popolo armeno, sia in Armenia che nella diaspora, vide di nuovo il pesante incubo del genocidio e dell’annientamento fisico. Le proteste presso le autorità sovietiche servirono solo a far raccogliere i cadaveri e far scappare i sopravvissuti con le navi verso il Turkmenistan, attraverso il Mar Caspio.
Ancora una volta come altre, troppo volte nella sua tragica storia, la piccola e pacifica nazione armena è stata costretta a prendere le armi. Fino al 1993 gli armeni combatterono contro le forze armate azerbaigiane, tre volte più numerose, armate fino ai denti e aiutate da mercenari venuti da altre repubbliche dell’Urss. Contro gli armeni intervennero anche migliaia di nazionalisti turchi capeggiati dai «Lupi Grigi», arrivati direttamente dalla Turchia, in qualche caso portandosi dietro le armi con la matricola della Nato, sottratte o semplicemente prese dagli arsenali dell’esercito turco.
Certe guerre però vengono vinte dai disperati e questo fu il caso del Nagorno Gharabagh. Gli armeni, perdendo più di cinquemila volontari, presero il controllo del loro territorio, spinsero le forze armate azerbaigiane verso l’interno del loro Paese, riuscendo ad occupare un territorio sufficiente per la migliore difesa strategica della loro terra. Attualmente il Nagorno Gharabagh è una repubblica autonoma non riconosciuta da nessuno, ma finalmente libera dall’oppressore turco. Da allora i rapporti di dialogo, se pur attraverso terzi, fra l’Armenia e l’Azerbaigian non si sono mai interrotti.
Oggi gli armeni hanno un rapporto privilegiato con la Russia e con la Chiesa ortodossa russa, avendo i due Paesi e le due Chiese interessi convergenti. Ne è testimonianza il tempio della Chiesa apostolica armena a Mosca, in via Trifonov, consacrato il 17 settembre 2013.
Oggi l’Armenia rappresenta il baluardo della cultura e della fede, delle tradizioni armene per tutti gli armeni sparsi nel mondo, che sono ormai quasi una decina di milioni: 3,3 milioni in terra armena, 2 milioni in Russia, più di 1 milione nell’America del Nord, mezzo milione in Francia, altrettanti in Medio Oriente e il resto sparso per il mondo. La parte della popolazione armena più controversa numericamente si trova in Turchia: ufficialmente ci sono sessantamila armeni cittadini turchi e trentamila armeni cittadini dell’Armenia, e circa diecimila armeni di varie cittadinanze, cioè in totale circa centomila. Per altre fonti, invece, pare che in Turchia ci siano almeno 2 milioni di armeni o armeni turchizzati. È sicuramente una questione molto delicata.
La salvaguardia della fede, della cultura e della lingua è sempre stata un’irrinunciabile priorità per gli armeni, assieme alla propria complessa identità. La nazione non ha mai perso la propria cultura di appartenenza, anche quando ha dovuto lasciare la propria casa e la propria terra natale. Lo Stato dell’Armenia e le organizzazioni culturali della diaspora sono stati complementari in questa opera colossale.
Gli armeni della diaspora guardano all’Armenia come a una grande speranza di rinascita.
Vivere bene o vivere male è una questione di cultura e il popolo armeno ne possiede una, radicata da cinquemila anni: siamo ancora qui per sorridere e «per passare questa nostra vita di due giorni», come dice il grande poeta e scrittore armeno Hovhannes Tumanjan (1869-1923).

Note

1. Richard G. Hovannisian, The Armenian holocaust: a bibliography relating to the deportations, massacres, and dispersion of the Armenian people, 1915-1923, Armenian Heritage Press, 1980. ISBN 9780935411058.

2. Alberto Rosselli, a cura di M. Cimmino, L'olocausto armeno. Breve storia di un massacro dimenticato, Editore Solfanelli, 2010. ISBN 8889756977.

3. United Nations Sub-Commission on Prevention of Discrimination and Protection of Minorities, July 2, 1985.

4. Schaller, Dominik J. and Zimmerer, Jürgen (2008) Late Ottoman genocides: the dissolution of the Ottoman Empire and Young Turkish population and extermination policies - introduction, Journal of Genocide Research, 10(1):7 - 14.

5. Recognition of the Armenian Genocide: List of countries.

6. Kamiya, Gary. Genocide: An inconvenient truth salon.com. October 16, 2007.

7. Letter from the International Association of Genocide Scholars to Prime Minister Recep Tayyip Erdoğan, June 13, 2005.

8. Jaschik, Scott. Genocide Deniers. History News Network. October 10, 2007.

9. Kifner, John. Armenian Genocide of 1915: An Overview. The New York Times.

10. Hagop H. Terzian, Giligie Aghedu, Istanbul, 1912. Il libro, allora proibito dalle autorità è stato ristampato in traduzione inglese con il titolo Cilicia 1909: The Massacre of Armenians, Taderon Press e Gomidas Institute, 2009, ISBN 978-1-903656-95-2. Cfr Book Review Cilicia 1909 su asbarez.com.

11. Che sorgerà ufficialmente nel 1923 dopo la lotta anti-imperialista di liberazione nazionale e la vittoria di Mustafa Kemal Atatürk.

12. Samuel Totten, Paul Robert Bartrop, Steven L. Jacobs (eds.) Dictionary of Genocide. Greenwood Publishing Group, 2008, ISBN 0-313-34642-9, p. 19.

13. Noël, Lise. Intolerance: A General Survey. Arnold Bennett, 1994, ISBN 0-7735-1187-3, p. 101.

14. Encyclopedia of Race, Ethnicity, and Society, by Richard T. Schaefer, 2008, p. 90.

15. Collegamenti esterni sulla figura e sull'opera di Wegner:
Armin Wegner's photography depicting the Armenian Genocide
Brief an Hitler Armin Wegner's letter to Adolf Hitler, 1933 (German language)
Armin T. Wegner Society
Biography of Armin T. Wegner
Armin T. Wegner on Find A Grave
On May 23, 1967, Yad Vashem decided to recognize Armin Wegner as Righteous Among the Nations.

16. Council of Europe Parliamentary Assembly Resolution, April 24, 1998

17. Ferguson, Niall. The War of the World: Twentieth-Century Conflict and the Descent of the West. New York: Penguin Press, 2006, p. 177. ISBN 1-59420-100-5

18. A Letter from The International Association of Genocide Scholars

19. Senate Resolution 106 - Calling on the President to ensure that the foreign policy of the United States reflects appropriate understanding and sensitivity concerning issues related to Human Rights, Ethnic Cleansing, and Genocide Documented in the United States Record relating to the Armenian Genocide. Library of Congress.

20. Encyclopædia Britannica: Death toll of the Armenian Massacres.

21. The Treatment of Armenians in the Ottoman Empire 1915-16: Documents presented to Viscount Grey of Fallodon, Secretary of State for Foreign Affairs By Viscount Bryce. (New York and London: G.P. Putnam's Sons, for His Majesty's Stationary Office, London, 1916), pp. 637–653.

Stemma Stemma della Chiesa apostolica armena