La Chiesa ortodossa russa nel XX secolo. Dall’ateismo alla glorificazione dei santi
Nel XX secolo, dopo la rivoluzione bolscevica, tutta la violenza dell’ateismo e del materialismo moderno si rovesciò sulla Chiesa russa, e, a partire dal 1945, sulle Chiese ortodosse di parecchi Paesi dell’Europa dell’Est. Dal 1918 al 1941, la Chiesa russa subì una delle persecuzioni più terribili che il mondo cristiano abbia mai conosciuto, con martiri a dozzine se non addirittura a centinaia di migliaia. La maggior parte delle chiese, i monasteri e i seminari furono chiusi, fu vietata ogni forma di catechesi, nel 1925 fu sospeso il Patriarcato di Mosca ed una buona parte della gerarchia si sottomise allo Stato comunista. Durante la seconda guerra mondiale, Stalin «normalizzò» le relazioni con la Chiesa, molte chiese furono riaperte, ed anche monasteri, seminari e accademie di teologia. Un nuovo periodo di persecuzione, non sanguinosa ma asfissiante, si abbatté sulla Chiesa tra il 1960 e il 1964 e poi ancora tra il 1979 e il 1985. Soltanto con la caduta del regime comunista, mentre era al potere Gorbaciov, alla fine degli anni Ottanta, la Chiesa russa è uscita dall’ombra in cui era vissuta per settant’anni.
Fin dagli inizi i soviet, nell'ambito della loro politica repressiva contro nobiltà, clero e borghesia, agirono con la forza per estirpare la religione dal cuore e dalla mente dei russi.
Questo indusse già nel 1920 Tikhon, Patriarca di Mosca, ad emettere un ukase (decreto) per invitare i fedeli che riconoscevano la sua autorità e che si trovavano all'estero di cercare protezione e guida altrove. Nel maggio del 1922, inoltre, il governo sovietico proclamò l'istituzione di una Chiesa Vivente, come una Chiesa riformata della Chiesa ortodossa russa. A seguito di ciò, il 13 settembre 1922, rappresentanti della Chiesa ortodossa russa all'estero si riunirono nella città serba di Sremski Karlovci stabilendo un proprio Sinodo. Un altro Sinodo si riunì anche in Nord America.
Fu nella primavera del 1922, quando la Russia sovietica si trovava stretta nella morsa della carestia e del massacro dei piccoli proprietari contadini, i kulak, che Lenin scrisse in un Memorandum per il Politbjuro: «È precisamente ora e solo ora che nelle regioni in cui c'è la fame, la gente mangia carne umana e centinaia se non migliaia di cadaveri ingombrano le strade, che possiamo e perciò dobbiamo confiscare i beni della Chiesa con la più selvaggia e spietata energia (...) per assicurarci un tondo di molte centinaia di milioni di rubli d'oro».
Dieci mesi dopo, egli morì. Nello stesso anno, Stalin, nominato Segretario Generale del Partito comunista bolscevico, di fatto isola Lenin convalescente e interpreta, allargandola, la sua politica spietata. Essa compie con lui un salto di qualità e di quantità. Come perdette la fede, semmai l'avesse davvero avuta, è cosa poco nota, ma il suo interesse perverso per la religione è accertato: ferirla e sradicarla.
Alla fine degli anni '30, la Chiesa ortodossa fu ammessa ad usufruire di un sostanziale compromesso con il regime, rappresentato dalla «Dichiarazione di lealtà», firmata dal metropolita Sergej (Stragorodskij) il 29 luglio 1927. Ciononostante, in un solo anno, nel 1931-'32, vennero passati per le armi 19.812 fedeli ortodossi. Non restava nemmeno uno dei quasi mille monasteri esistenti prima della Rivoluzione e si trovavano in libertà solo quattro vescovi ordinari. L'intero complesso di misure repressive era stato originato da un atto solenne: il 1 maggio 1937 fu disposta per legge «la messa al bando della stessa idea di Dio».
Dal 1937 al '41 vennero fucilati 110.700 membri del clero ortodosso, tra cui il locum tenens patriarcale Petr (Poljanskij), recluso da dodici anni in prigione. Nel 1939, sul territorio dell'Unione Sovietica rimasero aperte non più di cento chiese parrocchiali delle 55.000 funzionanti nel 1917, in cui celebravano circa 500 sacerdoti, contro i 115.000 del 1917.
La chiesa di Cristo Salvatore a Mosca venne fatta saltare in aria il 5 dicembre 1931 per essere sostituita dal Palazzo dei Soviet, il cui progetto di 500 metri di altezza non riuscì mai ad essere realizzato. La cattedrale della Madre di Dio di Kazan’ a Leningrado fu trasformata in «Museo della religione e dell'ateismo». Fedeli e clero andarono a costituire, senza essere più neanche distinti, la spina dorsale e numericamente qualificata dell'esercito dei detenuti nei gulag. Si trattò di 2.500.000 persone, suddivise in 500 colonie di lavoro, una sessantina di grandi campi e una quindicina di campi a regime speciale; inoltre, si contarono 2.750.000 «coloni speciali» come gli altri obbligati al lavoro coatto e non retribuito, ma in condizioni ancora più feroci.
Quando tutto sembrava essere perduto, profanato, ecco che la Chiesa ricomincia il suo cammino profetico e lo fa con la proclamazione dei suoi santi in occasione della celebrazione del 1000° anniversario del Battesimo della Rus’ di Kiev nel 1988. Si tratta di personalità scelte, secondo un rigoroso criterio cronologico, in base al ruolo da esse avuto, in ambiti diversi, nei primi mille anni di esistenza ufficiale della Chiesa russa. I nove santi canonizzati sono: il gran principe Dimitrij Donskoj († 1389), colui che nel 1380, con la benedizione di San Sergio, sconfisse i tartari nella battaglia di Kulikovo; il monaco pittore Andrej Rublëv († prima metà del XV secolo), allievo di San Sergio; San Massimo il Greco, al secolo Michele Trivolis, che divenuto domenicano a Firenze al tempo di Girolamo Savonarola, dopo il ritorno all’Ortodossia, fu tonsurato monaco al Monte Athos, con il nome di Massimo Vatopedinos. Fu poi inviato in Russia dove, coinvolto nelle dispute sulla correzione dei libri sacri e sul diritto di proprietà dei monasteri, morì nel 1556 presso la Laura della Trinità di San Sergio, dopo lunghi anni di dura prigionia; il metropolita di Mosca Makarij († 1563), autore della grande raccolta di letture, le «Velikie Minei Cet’i», sotto il quale si tenne nel 1551 l’importante concilio dei «cento capitoli»; lo starec Paisij Velickovskij († 1794), autore della «Filocalia slava»; la santa «folle per Cristo» Ksenija di San Pietroburgo († inizio del XIX secolo); il monaco-vescovo Ignatij Brjancianinov († 1867); lo starec Amvrosij (Grecov) di Optina Pustyn († 1891), tanto celebre durante la vita da essere visitato da Fëdor M. Dostoëvskij, Vladimir Solovëv e Lev N. Tolstoj; il vescovo-monaco Teofane il Recluso (Feofan Govorov, † 1894), autore della «Filocalia russa».
L’anno seguente, in occasione delle celebrazioni per il quarto centenario dell’istituzione del Patriarcato di Mosca (1589), si procedette, sempre sotto il Patriarca Pimen, ad altre due canonizzazioni, proclamate nel corso del nuovo consiglio episcopale, convocato per l’occasione. Si trattò, in sintonia con l’evento commemorato, del riconoscimento della santità del primo Patriarca di Mosca, Giobbe († 1607), le cui reliquie riposano nella cattedrale della Dormizione al Cremlino di Mosca, e del primo Patriarca dopo la restaurazione del 1917, Tikhon (Belavin, † 1925), le cui reliquie riposano nel monastero del Don a Mosca.
Infine, nel corso del consiglio episcopale del 1994, la Chiesa russa procedette a tre nuove canonizzazioni. La prima è stata quella del metropolita di Mosca Filaret (Drozdov, † 1867), grande teologo, esegeta, predicatore nello spirito dei Padri, ed anche - sulle orme di San Gregorio di Nazianzo - poeta; le altre, entrambe effettuate su richiesta della Chiesa ortodossa autocefala d’America, sono state quelle di due sacerdoti martiri, missionari in America alla fine del secolo, e poi vittime, l’uno, Ivan Kocurov († 1917) a Pietrogrado, della violenza rivoluzionaria, e l’altro, Alexander Chotovickij († 1937) a Mosca, della repressione staliniana.
Questa era la Chiesa ereditata da Alessio II nel 1990, quando accettò la nomina di Patriarca della Chiesa Ortodossa russa.
La caduta del regime sovietico nel 1991 portò con sé nuove speranze ed opportunità anche in campo religioso, insieme alla possibilità di una rinascita della forte tradizione religiosa dei russi. In particolare, il fallimento della dialettica comunista da un lato e l'insuccesso della democrazia e del capitalismo dall'altro offriva ampie opportunità di azione e diffusione alla religione in tutto il vasto Paese e tra tutte le popolazioni e i ceti sociali.
Inizialmente Alessio II governò la Chiesa ortodossa con grande prudenza, chiedendo allo Stato di ostacolare l'azione dei missionari stranieri. Lo Stato in effetti nel 1997 emanò, tra l'altro, una legge che limitava la diffusione dei ministri di quelle religioni che non potevano provare la presenza in Russia nei precedenti quindici anni. Poi, però, prese in pugno la Chiesa imponendo diverse innovazioni fondamentali.
La più importante fu la suddivisione della Russia in numerosi e piccoli vescovadi che gli permise di creare nuovi vescovi tra i sacerdoti più giovani e brillanti a sua disposizione. Cominciò, quindi, ad intraprendere viaggi pastorali avvicinandosi e rendendosi sempre più visibile alla gente, più di quanto avesse mai fatto qualcuno dei suoi predecessori.
Durante gli anni del suo ministero primaziale furono ricostruiti e restaurati numerose chiese e monasteri. Tutto questo ha consentito ad Alessio II di risollevare le sorti della Chiesa ortodossa dopo lunghi anni di persecuzioni.
Ad Alessio II è succeduto il 1 febbraio 2009 Sua Santità il Patriarca Kirill, che per vent'anni è stato presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Oltre ad affrontare i problemi interni, il Patriarca Kirill ha a cuore l'unità della Chiesa, continua le visite alle diocesi del Patriarcato di Mosca nel vasto territorio della Russia e mantiene le relazioni con le altre Chiese ortodosse locali, che in questi primi cinque anni di ministero primaziale ha avuto modo di visitare: Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme, Siria, Cipro, Grecia, Bulgaria, Moldavia, Polonia, Ucraina, Bielorussia, Giappone... e prossimamente sarà nei Balcani e nei Paesi dell'ex Jugoslavia.
Un evento importante del suo ministero primaziale è stata la storica visita in Cina nel mese di maggio 2013, che ha visto l'incontro conil presidente cinese Xi Jinping nella «Grande sala del popolo» di Pechino. Il Patriarca Kirill è stato il primo capo della Chiesa ortodossa russa a visitare la Cina ma anche il primo leader religioso cristiano ad essere ricevuto al massimo livello dal governo di Pechino. È stato senza dubbio il più grande evento nella storia della cooperazione russo-cinese in ambito religioso, ma anche nella storia delle relazioni russo-cinesi, il cui risultato avrà impatto sulle questioni legate all’Ortodossia in Cina.
Icona a rilievo in avorio dell'Arcangelo, inizio XV sec., incastonata nella croce d'altare della Cattedrale della Dormizione come dono di Ivan IV il Terribile. Musei del Cremlino - Mosca
Crocifisso con santi. Cameo su doppio strato di agata. Lunetta in oro con iscrizione incisa. Mosca, 1589 - Musei del Cremlino. Gioiello bizantino antico usato per Panagia, donata dallo zar Fëdor Ioannovič e dalla zarina Irina Fëdorovna al primo Patriarca russo Giobbe