La santità ortodossa nel II millennio cristiano. Contesto ecclesiale, modelli agiologici, personaggi*
Nella nostra epoca, la lotta per purificare la mente (νοũς) e lo sforzo per assicurare
il proprio corretto orientamento, usualmente passano inosservati, o sono considerati come un lusso superfluo che non riguarda il semplice cristiano.
Giorgio Mantzarides
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L’agiologia in chiave ecclesiologica
Secondo la dominante concezione scientifica, l’agiologia consiste nello studio sistematico della tradizione manoscritta e nell’edizione critica dei testi che riguardano la vita, l’attività, i miracoli e la memoria dei santi. Purtroppo, questa concezione dell’agiologia spesso sembra trascurare il nucleo teologico ed ecclesiologico della santità, ossia adombra il fatto che la santità è manifestazione, prodotto, risultato e, soprattutto, esperienza, magari
la più importante del corpo ecclesiale.
Dobbiamo chiarire che la sopraddetta osservazione non implica la sottovalutazione del merito e dell’importanza degli studi coltivati nel campo della letteratura agiologica. Al contrario, tende a evidenziare il contenuto, la quintessenza e lo spirito teologico nascosti dietro la lettera dei testi o soffocati dalle pretese filologiche di una edizione critica. E il carattere profondamente teologico dello studio della vita, della dottrina e, compatibilmente, della memoria dei santi dipende dal fatto che la Chiesa nelle loro persone riconosce non tanto dei modelli morali quanto gli «amici di Dio», i quali assicurano e confermano la continuità della presenza storica di Cristo, anche dopo la Sua Ascensione.
Il gusto del tesoro spirituale dell’agiologia è offerto dalle espressioni usate dalla teologia ortodossa per descrivere o determinare l’evento della santità. Oltre la loro utilità accademica come «termini tecnici», queste espressioni costituiscono una sintetica ma allo stesso tempo eloquente introduzione alla profondità teologica del campo agiologico. La varietà delle espressioni relative corrisponde alla ricchezza semantica del loro contenuto. Difatti, il contenuto della «somiglianza» (καθ’ ομοίωσιν) veterotestamentaria e ell’«adozione divina» (θεία υιοθεσία) paolina, viene poi sperimentato ed espresso dalla Chiesa come «perfezionamento in Cristo» (εν Χριστώ τελείωσις), «santificazione» (οσιότηταe αγιασμός), «illuminazione divina» (θείος φωτισμός) e «deificazione o divinizzazione» (θέωσις) dell’uomo. Ogni termine rivela un diverso punto di vista nel considerare la stessa realtà: l’incontro di salvezza tra il creato e l’Increato, vale a dire la glorificazione dell’uomo nella Gloria divina.
Questo studio cerca di rintracciare la storia della santità dell’oriente ortodosso nel secondo millennio cristiano. Il punto di partenza coincide con la separazione ufficiale tra la cristianità occidentale e quella orientale. La nostra attenzione è accentrata (a) sulle particolarità storiche e spirituali di ogni periodo, (b) sui modelli dominanti di santità e (c) sui personaggi più rilevanti la cui santità è stata riconosciuta e proclamata dalla comunità credente, allargandone il Calendario.
La tradizione monastica
Una delle conseguenze più concrete e dolorose dello Scisma del 1054 fu indubbiamente il fatto che ogni parte smise di riconoscere i santi dell’altra. Intanto, lo studioso della storia della Chiesa sa che per un periodo di tempo abbastanza lungo dopo gli anatemi reciproci, i presupposti teologici e spirituali della santità fiorita sia nel terreno dell’oriente che in quello dell’occidente rimasero piuttosto indivisi. Così, dall’XI fino al XIV sec., la santità in oriente segue la linea degli ideali monastici tradizionali, che nacquero nel primo Medioevo (IV sec.) e gradualmente prevalsero in tutto l’ambito della cristianità orientale, soprattutto dopo la tempesta dell’iconoclastia (726-843). Difatti, grazie alla resistenza dei monaci bizantini di fronte alle credenze eretiche e agli abusi del potere politico e, soprattutto, grazie al sangue di essi versato nel nome della verità, il monachesimo venne riconosciuto dopo il ristabilimento della pace come il più autentico difensore ed osservatore della vera fede.
La preponderanza degli ideali monastici nel campo della spiritualità, (vita liturgica, istruzione pastorale, devozione pratica, digiuno ecc.) ebbe un riverbero palese nell’agiologia (e nell’agiografia): la maggioranza dei santi di questo periodo provengono sia direttamente dal monachesimo (i cosiddetti «όσιοι») sia dalla gerarchia vescovile, che era composta esclusivamente da monaci. Così, il modello della santità prevalente in questo periodo corrisponde principalmente al trittico morale dei voti monastici (castità, povertà, ubbidienza) e al carattere cristocentrico ascetico. Tra i santi monaci e vescovi che furono inseriti nel Calendario durante i secoli XI e XIV ci sono san Cirillo il Fileota (1111), i patriarchi di Costantinopoli Cosma il Taumaturgo (1081), Leone (1143), Giuseppe (1283), Atanasio (1311) e Callisto (1363). Il periodo non è privo di martiri: memorabile è il caso dei tredici monaci del convento di Cantara di Cipro che sono stati martirizzati per la fede nel 1231.
Esicasmo e umanesimo cristocentrico
Una svolta critica della posizione dell’oriente ortodosso di fronte all’occidente cattolico avvenne durante il XIV sec., a causa della disputa teologica tra Gregorio Palamas, arcivescovo di Tessalonica (1296-1359) e il monaco greco Barlaam (1290-1350), nato a Seminara in Calabria. Il primo, nel suo tentativo di confutare le posizioni gnoseologiche del secondo, nei suoi scritti ricapitolò i presupposti teorici e le applicazioni pratiche della possibilità dell’uomo di conoscere Dio, ossia di essere divinizzato. Secondo Gregorio, il cammino verso la «divinizzazione» (θέωσις) dev’essere inteso e, soprattutto, vissuto come un processo continuo di ascesi e di preghiera, perciò non dipende dalla formazione accademica o culturale dell’uomo. Prova vivente di questa concezione della santità era l’esperienza monastica che Gregorio condivideva con i suoi fratelli in Cristo al Monte Athos. A suo dire, presupposto sicuro e, nello stesso tempo, via per mezzo della quale si cammina verso la santità è la «quiete» (ησυχία), vale a dire una serenità interiore che permette l’invocazione incessante del nome di Gesù. Infatti, il centro della spiritualità esicasta può essere condensato in una preghiera brevissima e molto facile da ricordare: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me» (Κύριε, Ιησού Χριστέ ελέησόν με); per cui si chiama anche preghiera di un solo pensiero (μονολόγιστος oppure νοερά).
Questa preghiera coltivata con purezza interiore e umiltà, si sposta dalla bocca alla mente e infine al cuore, dove agisce da sola, anche se l’uomo sta lavorando, mangiando o addirittura dormendo. Gli esicasti, secondo Palamas, «così infatti divenuti partecipi della grazia, sempre in moto ed instancabile, hanno la preghiera radicata nell’anima e continuamente attiva secondo la parola di colui che disse: "io dormo ma il mio cuore veglia"». Malgrado le voci singolari contro il palamismo, provenienti principalmente dall’ambiente degli intellettuali bizantini, la teologia ortodossa finora riconosce alla personalità dell’arcivescovo di Tessalonica un vero Padre e Dottore della Chiesa, simile a quelli Cappadoci. La proclamazione della santità di Palamas ebbe luogo quasi subito dopo la sua morte (14 novembre 1359), in un sinodo convocato e presieduto da Filoteo Kokkinos, patriarca di Costantinopoli e discepolo del celebre arcivescovo di Tessalonica. Inoltre, a causa della sua opposizione alla tradizione occidentale, rappresentata da Barlaam, Palamas è ritenuto da gran parte dei teologi ortodossi come l’espressione più rigida ed autentica della spiritualità ortodossa. Intanto, non si deve dimenticare che in quell’epoca, nella coscienza bizantina l’occidente era connesso con la presa di Costantinopoli con la crociata del 1204. E questo fatto traumatico nella memoria collettiva dell’oriente cristiano pesava forse più dell’aggiunta dogmatica del Filioque... quasi parallelamente all’esicasmo, che fortificò la santità monastica basata sull’ascetismo e sulla preghiera incessante, fioriva un’altra corrente spirituale ugualmente feconda nel campo agiologico ed agiografico bizantino. Si tratta del cosiddetto umanesimo cristocentrico, espresso principalmente da Nicola Cabasilas (1319/1323-1398), un teologo - probabilmente laico - di Costantinopoli. La santità di Cabasilas è stata riconosciuta appena alla seconda metà del XX sec., ma il contributo della sua Spiritualità è ritenuto estremamente importante, perché rinnovò il valore della vita sacramentale nel cammino verso la santità e, di conseguenza, il carattere sociale ed ecclesiologico della salvezza. Al centro dell’esperienza liturgica, Cabasilas mise la partecipazione attiva al banchetto eucaristico, intorno a cui la comunità credente si costituisce in Corpo di Cristo vero e proprio. Come osserva uno studioso di oggi, «in un’epoca in cui imperava la spiritualità monastica, egli [Cabasilas] cerca di dimostrare che tutti, anche i laici, possono vivere la vita in Cristo basandosi non tanto sulla spiritualità anacoretica, quanto su quella sacramentale e rimanendo nel mondo».
Altrettanto importante è il contributo di Cabasilas nella storia della santità ortodossa, intesa da lui come «una delle tre dimensioni fondamentali, attorno alle quali [...] la Chiesa si articola nella sua struttura organizzativa e si sviluppa nella sua vita sacramentale».
Le opere principali di Nicola Cabasilas, ritenute oggi giustamente come capolavori della teologia bizantina, sono la Interpretazione della Sacra Liturgia e la Vita in Cristo.
La svolta della caduta di Costantinopoli
La caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi (1453) segnò una svolta molto cruciale per la storia del Cristianesimo orientale. Se però il crollo di Roma nelle mani barbariche venne concepito dai cristiani occidentali del V sec. quasi come un fallimento storico del Cristianesimo, al contrario in oriente l’esperienza spirituale accumulata durante i secoli, aiutò gli ex-cittadini dell’ecumene cristiana ed ora sudditi di un potere infedele, a interpretare l’evento della caduta in chiave spirituale e soteriologia: Dio ha permesso la conquista della capitale dell’Impero già ferito e smembrato, a causa del fallimento spirituale e dell’immaturità sia della sua guida politica e spirituale che dei suoi cittadini. Così, la cattività della «Grande Chiesa» e la schiavitù dei cristiani, viste in questa prospettiva realistica e nello stesso tempo teologica, assomigliavano a una sorta di sanzione, simile a quella che ac compagna la confessione di un peccato grave. Nei confronti di questo nuovo quadro politico, la Chiesa era costretta a dimenticare i privilegi che le forniva l’abbraccio talvolta soffocante della protezione imperiale e ad incarnare sul piano collegiale ed istituzionale gli aspetti del carattere cristiano più vicini al comportamento del Figlio dell’Uomo: l’umiltà, la povertà, la soavità, la mitezza e la pazienza.
Nello stesso tempo, la Chiesa, come «unica istituzione della tradizione bizantina rimasta quasi intoccata» dalla teocrazia islamica, doveva corrispondere alle nuove molteplici necessità del suo gregge: nonostante prigioniero, il patriarcato ecumenico, oltre le sue attività puramente pastorali, era responsabile anche della organizzazione politica e socialedei cristiani dell’impero ottomano.
Con questo ruolo amministrativo, la Chiesa ortodossa istituzionale, secondo l’osservazione geniale dello storico rumeno N. Iorga diventò «la Bisanzio dopo Bisanzio», ossia la depositaria dell’identità culturale e spirituale dei fedeli. Alla luce delle osservazioni sopraddette, dev’essere intesa la proclamazione della santità di grandi personaggi della gerarchia di questo periodo, i quali nella coscienza della comunità credente simboleggiavano l’identità ortodossa o addirittura furono identificati con essa. Tra i più famosi sono il metropolita di Efeso Marco Evgenikos che rifiutò di firmare le decisioni del Sinodo di Ferrara-Firenze (1338-1339), e Gennadio Scolario, che ebbe lo sventurato privilegio di essere il primo patriarca della capitale occupata dai Turchi. In questo terreno storico e spirituale fiorirono i predicatori ortodossi della Turcocrazia. Si tratta di preti e monaci sia dotti che illetterati, però tutti dotati di un talento retorico istintivo e soprattutto di un’ispirazione divina, che offrivano non solo conforto psicologico ma anche vero pane spirituale al popolo fedele. Dallo studio delle Raccolte di omelie stampate nel XVIII sec., risulta che i predicatori dell’epoca, continuando la tradizione retorica plurisecolare bizantina, in realtà furono compilatori di veri e propri manuali di catechismo, ossia una sorta di dogmatica, di apologetica e di teologia morale.
Oltre però alla sua istanza psicologica, educativa e teologica estremamente importante, l’attività retorica della Chiesa durante questo periodo disagiato generò uno dei personaggi più commoventi del martirologio recente ortodosso: il santo e martire Cosma Etolico (1714-1779). Cosma abbracciò la vita monastica in età giovanile. Era uomo «ignorante e illetterato», però la sua fervente carità per il popolo tormentato, generò in lui il desiderio di aiutarlo mediante la predicazione. Così, dopo aver ricevuto la benedizione dal suo padre spirituale aghiorita, uscì dal Monte Athos allo scopo di predicare la parola di Dio nel mondo. Difatti, viaggiando per le città ed i villaggi della penisola greca occupata, predicava la parola di Dio ed esortava le comunità cristiane ad edificare scuole per poter istruirsi e studiare i testi sacri della Chiesa. La risonanza enorme che ebbe la ardente predicazione del monaco semplice agitò la comunità ebraica che lo accusò alle autorità islamiche. Cosma fu catturato e ucciso. La Chiesa riconoscendo l’opera e il martirio del monaco ispirato, gli attribuì la nomina onorifica dell’«Ισαπόστολος» (uguale all’apostolo).
Neomartiri, i nuovi eroi della fede
Nel terreno spirituale del periodo storico post-bizantino fiorirono anche i neomartiri, che realizzarono l’ideale antropologico cristiano allargando il Calendario di una comunità ecclesiale sofferente ma ancora viva. Al pari della Chiesa istituzionale che, come abbiamo detto sopra, era costretta a riprodurre gli aspetti umani della presenza storica di Cristo, i neomartiri ravvivavano il carattere cruento della testimonianza delle prime comunità cristiane perseguitate. In contrasto con i periodi precedenti, dove dominava il modello della santità monastica e clericale, durante i secoli post-bizantini affiorò di nuovo la santità laicale, che, a sua volta, mise in evidenza i nuovi protagonisti dell’agiografia: uomini ordinari, familiari, braccianti, provenienti dalle viscere invisibili e sconosciute del corpo ecclesiale, accomunati dalla brama del martirio. Così, parallelamente agli etno martiri, cioè gli eroi della patria, caduti per la liberazione della nazione, i neomartiri furono gli eroi della fede, sacrificati per la libertà in Cristo.
Gli effetti positivi della presenza dei neomartiri sono più che evidenti: il loro sacrificio dimostrò in pratica la forza della verità della fede cristiana che non si piega nemmeno dinanzi alla morte. L’esempio dei neomartiri però non aiutò solo la comunità credente dei cristiani; influenzò positivamente la coscienza anche dei musulmani, alcuni dei quali dopo la loro conversione sono stati martirizzati, come per esempio Ahmet Calfas (+1683). Intanto, il peso specifico della presenza storica dei neomartiri dal punto di vista ecclesiologico consiste, soprattutto, nel fatto che rinfiammarono l’indole entusiasta e la coscienza escatologica della comunità ortodossa, due elementi della fede cristiana quasi dimenticati da una Chiesa, adagiata nella gloria del suo trionfo storico.
Non si sa con esattezza il numero dei neomartiri; certi studiosi affermano che sia più grande di quello dei martiri dei primi secoli. Tra i vari gruppi di neomartiri, il più commovente è quello dei credenti che in varie circostanze passarono all’Islam e poi, dopo essersi pentiti, si presentarono di loro volontà dinanzi alle autorità musulmane per confessare la loro fede in Cristo ed essere martirizzati. Di solito, si rifugiavano al Monte Athos, dove si mettevano sotto la guida spirituale di monaci esperti. Il termine «αλείπτης», attribuito ai monaci che guidavano spiritualmente i candidati neomartiri, richiama l’abito dell’antichità, secondo il quale l’istruttore preparando il ginnasta, lo spalmava con olio. Tra gli «αλείπτες» noti, il più singolare e famoso fu Nicodemo Aghiorita (1749-1809). Questi fu anche il redattore della Vita di diversi neo martiri. Fra questo gruppo dei neomartiri indicativamente facciamo riferimento a Costantino, un laico dall’isola di Idra, che dopo essere passato all’Islam si pentì e si preparò al Monte Athos per il martirio, avvenuto a Rhodi nel 1800.
Intanto, l’impegno della preparazione dei neomartiri non toccava solo ai padri spirituali del Monte Athos; lo assumevano anche dei laici. Ogni persona che si metteva in contatto con un candidato neomartire, gli dava soccorso e rinforzo spirituale. Un tale caso si legge nella vita della neomartire Achilina (+1764), che fu aiutata dalla madre. Suo padre era passato all’Islam e aveva promesso l’islamizzazione anche della figlia, la quale, sotto la guida della madre, preferì il martirio che la rinunzia alla propria fede.
Durante questo periodo, certo, non mancano anche dei personaggi che continuano il modello della santità ascetica, come il sopraddetto Nicodemo Aghiorita e Atanasio di Paro, anche se la loro santità verrà proclamata tanti anni dopo la loro morte, appena alla fine del secolo scorso. L’importanza di essi, secondo molti teologi e storici della Chiesa, sta nel fatto di essere ritenuti difensori della più rigida e conservatrice ortodossia sia di fronte alla sfida del cristianesimo occidentale che contro la critica anticlericale dell’Illuminismo neogreco, cresciuto tra il XVII-XVIII sec. Infine, la figura dei neomartiri è ripresa anche nel XX sec., nei paesi del mondo, dove predominava il totalitarismo politico sia nero che rosso. La morte dolorosa e nello stesso tempo gloriosa di tanti martiri contemporanei è vissuta dalla Chiesa come la testimonianza della fede cristiana contro i messianismi ideologici che hanno tentato di sostituire o addirittura sopprimere il dinamismo escatologico di essa.
Conclusione
In uno studio ecclesiologico, p. Giorgio Florovski osserva: «La Chiesa di Cristo è esattamente quel luogo misterioso, dove si realizza e si continua la "divinizzazione" (θέωσις) di tutta l’umanità per mezzo dell’opera dello Spirito Santo». Ciò significa che la Chiesa si manifesta oppure si rivela per eccellenza nell’area sacramentale della santità. E siccome la santità fiorisce dentro la Chiesa, essendo un evento prima di tutto se non esclusivamente ecclesiale, lo studio dei santi conduce ad una rilettura "santo-centrica" della storia ecclesiastica. Si tratta di un’approccio, piuttosto teologico, della storia ecclesiastica, il quale, senza ignorare sia la dimensione istituzionale e gerarchica che quella dogmatica della Chiesa, ricostruisce il cammino storico di quest’ultima, focalizzando i personaggi che hanno potuto incarnare l’ideale antropologico, o più precisamente teandrico, del cristianesimo in una rilevante e tangibile proposta di vita. Parlando dei modelli di vita santa o della fruttificazione spirituale dei santi, non si deve dimenticare che la santità è un attributo ontologico che appartiene soltanto ed esclusivamente a Dio increato. Riferita all’uomo creato la santità, in sostanza, significa «partecipazione e comunione alla santità di Dio». Quindi, la santità si riferisce a tutti quelli che concentrano tutte le forze della loro esistenza nella ricerca dell’amore di Dio in tal modo da esser illuminati dallo splendore della Sua santità ontologica. Questo splendore si riflette mediante i santi sulla comunità dei credenti.
Dunque, per questo la storia della santità è compresa nella storia della Chiesa (se non viene identificata con essa): perché la prima sembra come una serie di stazioni di splendore spirituale oppure di vertici concreti che rischiarano il cammino storico della seconda, ricordandone la destinazione escatologica.
Icona del Salvatore (XIII secolo, Monte Athos). *Testo di Panaghiotis Ar. Yfantis (Università Aristotele di Tessalonica)
Lago di Tiberiade (fondo di pagina)
San Cosma di Etolia (1714 - 1779)
San Marco di Efeso (1392 - 1444)