Eleusi e il destino dell'Europa. Editoriale di Fernanda Santobuono
Ad Eleusi (XV secolo a.C. – 396 d.C.), città dell'antica Grecia, venivano celebrati ogni anno, tra settembre ed ottobre, i sacri Mysteria in onore della dea Demetra e di sua figlia Persefone (dall’arcaico Dè Meter, che a sua volta deriva dal miceneo Ge Meter, che vuol dire Madre Natura). Vi partecipavano uomini e donne, liberi e schiavi, greci e barbari. Gli iniziati ottenevano la speranza, anzi la certezza, della vita dopo la morte. Non ricevevano solo un insegnamento, ma avevano soprattutto un’esperienza del divino che cambiava la loro coscienza. Tornavano a vivere la loro vita di ogni giorno, non come membri di una setta religiosa, ma come uomini liberi dal timore della morte.
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Che tipo di messaggio era quello annunciato a Eleusi, che fece di questo culto il più influente e importante mistero spirituale dell’antichità?
A questa domanda non si può rispondere dettagliatamente, poiché non è mai stato possibile sollevare nel corso dei millenni il velo arcano frapposto dalla severa regola della segretezza. A Eleusi non veniva annunciata una vera e propria nuova religione rivolta a una cerchia ristretta, poiché gli iniziati, una volta ritornati dai Misteri nei loro luoghi nativi, rimanevano fedeli al culto della religione locale. Doveva trattarsi piuttosto di d rivelazioni circa la natura dell’esistenza umana, circa il significato della vita e della morte, che gli iniziati là ricevevano.
La partecipazione ai Misteri rappresentava un’esperienza il cui carattere straordinario era da ricercare in una modificazione nell’anima dell’iniziato piuttosto che in un evento esteriore. Ciò traspare dalle testimonianze di celebri iniziati. Così si esprime Pindaro a proposito della visione eleusina: “Felice chi entra sotto la terra dopo aver visto quelle cose. Conosce la fine della vita, conosce anche il principio dato da Zeus”. Cicerone descrive allo stesso modo lo splendore che illuminò la sua vita dopo l’esperienza di Eleusi: “Abbiamo conosciuto i princìpi della vita, e abbiamo ricevuto la dottrina del vivere non solo con letizia, ma anche con una speranza migliore nella morte”. Evidentemente, nella visione delle affinità tra la vita e la morte, gli iniziati esperivano la totalità dell’essere e l’eterno fondamento della creazione. Doveva essere stato un incontro con l’indicibile, con il sublime, rappresentabile solo metaforicamente. E’ sorprendente come l’esperienza eleusina venga sempre descritta in termini antitetici: oscurità e luce, terrore e beatitudine. Questa ambivalenza viene espressa anche in altre testimonianze, come in quella di Elio Aristide, dove Eleusi rappresenta “nel contempo il più atroce e più luminoso di tutto ciò che è per l’uomo sublime”. L’imperatore Marco Aurelio indica trai doni che gli dèi elargiscono agli uomini anche i Misteri.
La grande importanza e la lunga durata dei Misteri eleusini nell’antichità greca dimostrano che essi andavano incontro a un profondo bisogno psichico e a un forte desiderio spirituale. Nietzsche sosteneva che ciò che caratterizzava la mente greca fin dalle sue origini era la coscienza scissa della realtà. La Grecia fu la culla di una visione del mondo in cui l’Io si sentiva separato dall’ambiente esterno. Qui, ben prima che in altre aree culturali, venne a formarsi il distacco tra individuo e mondo. Questo dualismo, che il medico e scrittore tedesco Gottfried Benn ha descritto come “il destino nevrotico europeo”, ha caratterizzato poi in maniera decisiva la storia intellettuale europea e tutt’ora svolge un ruolo determinante.
Un Io che vede il mondo come esterno a sé, come oggetto, questa coscienza che fa della realtà un dato esterno, fu il presupposto della nascita delle scienze naturali occidentali. Già nelle prime opere del pensiero scientifico, nelle teorie cosmologiche dei filosofi presocratici greci, era all’opera questa visione oggettivante della realtà. La posizione dell’uomo di fronte alla natura, che rese possibile un forte dominio sulla stessa, fu poi formulata chiaramente e fondata filosoficamente per la prima volta da Cartesio nel XVII secolo. Da allora in Europa si è diffuso un tipo di indagine sulla natura tendente all’oggettivazione e alla misurazione, che ha permesso di formulare le leggi fisiche e chimiche della struttura del mondo materiale. Queste conoscenze hanno reso possibile uno sfruttamento precedentemente inimmaginabile della natura e delle sue forze. Da ciò è conseguito l’attuale sviluppo mondiale della tecnologia e dell’industrializzazione in quasi tutti gli aspetti dell’esistenza, offrendo a una parte dell’umanità comodità e benessere inaspettati. Allo stesso tempo però si dava l’avvio alla distruzione sistematica dell’ambiente naturale, che oggi ha condotto a una crisi ecologica mondiale, prima, e finanziaria, poi. E sul versante ecclesiastico al cristia
Ancora più gravi di quelli materiali sono i danni spirituali dello sviluppo della visione materialistica del mondo. L’individuo ha perduto il nesso con il fondamento spirituale e divino che unisce tutti gli esseri. Non protetto, insicuro e isolato, l’uomo fronteggia da solo un ambiente esanime, materiale, caotico, minaccioso.
Il germe di questa visione dualistica della realtà, che ha prodotto effetti tanto catastrofici nella nostra epoca, era già stato gettato nell’antichità greca. Il genio greco ricercava la guarigione mentre plasmava il mondo materiale e visibile, il mondo caro ad Apollo, seguendo i canoni della massima bellezza; questa immagine variopinta, sensuale e apollinea, ma al contempo dolorosa, della realtà, si completava con l’esperienza dionisiaca della stessa, in cui la separazione tra soggetto e oggetto veniva annullata nell’ebbrezza estatica.
I Misteri di Eleusi erano intimamente legati ai festeggiamenti e alle celebrazioni in onore di Dioniso. Essi conducevano in modo decisivo alla guarigione e al superamento della scissione tra uomo e natura e all’annullamento tra creatura e creatore: era questo in realtà il grande compito dei Misteri. La loro importanza storica e culturale, la loro influenza sulla storia della civiltà europea, possono essere difficilmente sopravvalutate. Qui l’uomo separato e sofferente a causa del suo spirito razionale e oggettivante trovava la guarigione nell’esperienza mistica della totalità e questo era per lui motivo di credenza nell’immortalità di un essere eterno. Questa convinzione ha continuato a vivere nel primo Cristianesimo, anche se con altri simboli. La si trova come promessa in alcuni passi significativi dei Vangeli, soprattutto nel Vangelo secondo Giovanni, al capitolo 14: 16-20. Gesù dice ai suoi discepoli mentre si congeda da loro: “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro avvocato che starà sempre con voi, “lo Spirito della Verità” […] In quel giorno conoscerete che Io vivo unito al Padre e voi siete uniti a me e Io a voi”.
L’epistemologia insegna e la storia della scienza conferma che ogniqualvolta l’uomo dirige lo sguardo attorno a sé, non riesce a vedere che parti staccate di un tutto indefinito. Quelle che gli antichi filosofi chiamavano le “essenze”, non ci è dato conoscere se non attraverso una resa incondizionata alla vita, alla natura. Quando Dio cacciò l’uomo dal Paradiso, gli consigliò di soggiogare a sé il mondo, e questo lui poteva fare soltanto conoscendone i meccanismi di funzionamento, con buona pace per le essenze. Poi con il tempo imparò che le parti dovevano essere collegate ad altre parti perché si potesse pervenire a un che di sensato, non di vero ovviamente, solo di sensato. Ed ecco che la storia della scienza ci racconta come di volta in volta, epoca dopo epoca, il sensato abbia sempre mutato le proprie caratteristiche, le proprie forme. Uno studioso, Thomas Khun (1922-1996), ha parlato di paradigma, vale a dire di un sistema condiviso di valori che contribuisce a dare il senso e la forma a un insieme di dati ricavati dall’osservazione empirica. Il paradigma allora in voga era il comportamentismo:l’uomo è fondamentalmente un insieme invisibile di azioni, alcune dotate di senso, altre meno. Chi decide è la società, la sua visione del mondo, e in occidente, negli anni cinquanta non si andava per il sottile: guerra fredda, bianco e nero, adattati e disadattati e via dicendo.
Fortunatamente, in quegli anni andava prendendo forma un nuovo paradigma, segnando le prime tracce di un percorso nuovo, di un lento ma costante rivolgimento di vecchie idee, idee sulla natura, sull’uomo, sulla religione, sull’arte. Ma in realtà non si trattava di nuovi percorsi, né tantomeno la trasfigurazione di quelle idee avveniva per chissà quale elaborazione culturale. Non erano pure fantasie di uomini particolarmente sensibili. Costoro vedevano semplicemente cadere un velo, aprire le porte della percezione; scrutavano oltre e riscoprivano l’anima che si era fatta muta, o perlomeno aveva cessato la sua funzione di guida. Con le dovute eccezioni, per la prima volta si rendeva alla dimensione estatica dell’uomo la posizione insopprimibile che le è propria. Dimensione che rappresenta oggi la grande difficoltà dell’Occidente: quella di attraversare il vuoto e la morte dell’io per far rinascere l’uomo nuovo. L’anima è irruenta, soprattutto dopo un lungo esilio, e richiede l’azione di un intermediario forte. Per fortuna, dalla visione dualistica dell’uomo e della creazione si è passati ad un approccio totale. Purtroppo è proprio di questi giorni la notizia di un aumento della diffusione di eroina e sostanze similari, anche a basso prezzo, che rende l’uomo un contenitore di illusioni da inseguire incessantemente nell’atto compulsivo dell’introduzione dell’ago nella vena. La mafia esulta, il potere può aprire i suoi lazzaretti, dove la morale e le buone intenzioni affossano definitivamente ogni rigurgito dell’anima.
Antica Eleusi (Grecia) - Sito archeologico