Chiamati per nome alla santità. Dalla Trasfigurazione del Signore all'uomo in Cristo
Una testimonianza della tradizione
Secondo una tradizione ancora viva nella Chiesa ortodossa, la prima immagine che un agiografo deve dipingere è quella della Trasfigurazione del Signore(1). Per questa arte non è sufficiente né il talento né l’istruzione teorica e pratica, appresa in corsi universitari o in un laboratorio iconografico monastico. L’iconografo prima di tutto chiede al Signore Trasfigurato di trasformare tutti i suoi sensi e soprattutto gli occhi, perché possa, su un pezzo di legno o sul muro di una chiesa, far brillare quella luce interna, spirituale e trascendente che trasforma un’immagine o una sua composizione in oggetto di arte liturgica.
La disposizione interna, la preparazione e il cammino dell’iconografo nel rappresentare icasticamente la Trasfigurazione del Signore, l’uso liturgico della sua opera insieme alle interpretazioni successive patristiche del racconto neotestamentario, sembrano costituire un sommario della spiritualità ortodossa, delineandone le radici bibliche e i presupposti esperienziali, la via ascetica e il quadro ecclesiale, la profondità relazionale e, soprattutto, la tensione tra il «già» storico e il «non ancora» escatologico, ossia il trasformarsi dell’uomo secondo il suo prototipo teandrico. Essendo fedele riflesso dell’unità tipicamente ortodossa tra Bibbia e tradizione, fede e vita, dogma ed esperienza, la teologia e la spiritualità orientale individua questo trasformarsi già nella creazione «a somiglianza» della Genesi(2) e nell’«adozione divina»(3) paolina. L’esperienza filocalica identifica questo trasformarsi con la «perfezione senza fine»(4), l’intelligenza patristica di un Gregorio Nisseno con «l’imitare la natura divina»(5) e la parresia di un Serafino di Sarov con «l’acquisire lo Spirito Santo»(6).
L’offerta divina e la ricezione umana
La retorica confessionale stereotipa mette in correlazione i tre eventi nodali della vita terrena di Cristo col carattere teologico e spirituale delle grandi versioni delle chiese cristiane: l’Incarnazione caratterizza in particolare la tradizione del Cattolicesimo; la Passione le conquiste ermeneutiche e l’etica del Protestantesimo, e la Resurrezione la fisionomia dell’Ortodossia. Certo, ogni stereotipo, compreso quello teologico, deve la sua forza alla proporzione di verità che contiene, ma ne compromette la pienezza in nome di una espressione convenzionale al pari di uno slogan. Senza, dunque, mettere in dubbio che queste espressioni stereotipe designano, anche se grossomodo, le tendenze generali delle diverse confessioni cristiane, riteniamo che l’evento più significativo ed espressivo della spiritualità ortodossa sia la Trasfigurazione di Cristo. Infatti, questo evento da una parte richiama il carattere generale della spiritualità ortodossa, in quanto mette insieme la rivelazione dell’identità messianica del Signore, il preludio della discesa agli inferi, della Risurrezione e dell’Ascensione. D’altra parte, la sua ricezione più di tutte le altre manifestazioni messianiche di Cristo esige l’apertura, la maturità dell’uomo e il coinvolgimento attivo della sua volontà e libertà: in una parola, il suo trasfigurarsi liberamente in sinergia e alla luce della grazia divina.
Le vie dell'ascesi
Ritorniamo ora al nostro paradigma anagogico. L’iconografo ortodosso, quello più praticante, si prepara spiritualmente in vista di un traguardo difficile, mediante la preghiera e il digiuno(7). Ma, appunto perché fare digiuno non significa evitare solo certi cibi ma il peccato(8), il pittore devoto cerca di purificare e di rinnovare tutti i sensi. Analogamente, la preparazione spirituale e anche il cammino permanente di un credente costituiscono un’ascesi incessante di purificazione e di pratica delle virtù. Neanche qui c’è spazio per limiti di quantità o dilemmi di qualità. La lotta ascetica, o meglio le diverse vie ascetiche, non si limitano né al recinto monastico o ai periodi quaresimali, né parzialmente contro la carne debole. La lotta spirituale pur sempre adattata in ogni necessità e possibilità di età, di salute, di famiglia o altra, concerne tutta la vita dell’uomo e la totalità della sua esistenza. D’altronde l’ascesi, anche quella monastica più aspra, è basata sulle costanti bibliche antropologiche(9) e perciò non mira allo sradicarsi delle passioni, - questo implicherebbe una mutilazione dell’uomo; mira alla restaurazione terapeutica, alla trasformazione teocentrica delle forze umane, perché servano la salvezza e l’economia divina.
Il quadro ecclesiale
Dall’altra parte, quello che trasforma un pittore in iconografo non sono nemmeno le sue virtù individuali che accompagnano o verificano il suo cammino ascetico. Al contrario, è il fatto che l’iconografo si prepara spiritualmente e lavora nel nome e sempre nel seno di una comunità di credenti, cioè il suo impegno ecclesiale, testimoniato dall’utilità e dalla missione liturgiche della sua opera. È grazie e in virtù di questo impegno ecclesiale dell’iconografo che poi la comunità riconosce alla sua opera la formulazione icastica della propria fede. L’identità liturgica dell’iconografo, che trasforma la sua mano in mezzo espressivo di tutta la comunità, e la missione sacramentale, che trasforma la sua opera in monumento collettivo della fede comune, indicano il carattere profondamente ecclesiale della spiritualità ortodossa. In altre parole, il fedele non si lancia in una corsa solitaria, lottando contro se stesso o contro i demoni, mirando a una vittoria e a una giustificazione individuale, ma è ecclesiale per mezzo e in virtù della sua vita comunitaria, sacramentale e liturgica del corpo - parrocchiale o monastico - in cui organicamente appartiene. Del resto, l’albero della santità, quale manifestazione più preziosa della spiritualità, da una parte presuppone sempre un terreno ecclesiale e dall’altra implica una comunità per raccoglierne e gustarne i frutti. Nella stessa prospettiva, la teologia e la spiritualità ortodossa vedono nel raduno eucaristico non solo il mezzo ma anche la realtà compiuta della trasformazione dei partecipanti in persone, chiamate per nome alla santità(10).
Sotto la guida dello Spirito
Nonostante ciò, la profondità relazionale del trasformarsi interno, sottinteso dal nostro paradigma, sta nella richiesta spirituale diacronica che contiene lo stesso fatto biblico, la cui raffigurazione icastica compone l’inizio del cammino artistico e della diaconia ecclesiastica dell’iconografo ortodosso. Secondo le ispirazioni ermeneutiche dei Padri orientali e le loro implicazioni spirituali e pastorali, il racconto dei Sinottici non descrive un cambiamento di Cristo - la cui identità messianica era identica prima e dopo la salita sul monte. Indica la trasfigurazione degli occhi dei Suoi discepoli per la forza dello Spirito Santo(11), ossia il culmine di quella maturità spirituale che Cristo stesso sapeva già(12) quando li scelse per accompagnarlo sul monte e per contemplarne la luce risplendente della gloria messianica(13).
La luce taborica compone l’esperienza biblica e simbolica e nello stesso tempo reale e sensoria della deificazione; la rivelazione dell’Ottavo Giorno(14) «che non si può interrompere dalla notte»(15). Tali visioni della luce taborica, precedenti o successive della Trasfigurazione di Cristo, la teologia orientale ne individua molte, come per esempio nella vita di Mosè(16) e del profeta Elia(17) presenti sul monte, nella discesa dello Spirito durante la Pentecoste(18), nella conversione di Paolo(19), ma anche nelle esperienze dei «maestri del deserto» e dei Padri e Dottori della Chiesa, da Basilio il Grande(20) sino agli esicasti del tardo Bisanzio e ai pionieri della rinascita filocalica dell’oriente ortodosso dei secoli XIX-XX.
Questo aspetto della spiritualità ortodossa può eventualmente sembrare contrario a quello sacramentale o liturgico. Però, il loro denominatore comune è più che palese: si tratta del dinamismo trasfigurante del rapporto vivo tra il fedele e la comunità con il Dio personale della tradizione biblica. Nelle manifestazioni più alte questo rapporto spirituale verifica in modo dossologico il versetto salmico «per la tua luce noi vediamo la luce»(21) e rende Simeone il Nuovo Teologo capace di riconoscere Cristo stesso in tutti, letteralmente, i suoi membri corporali(22).
L’orizzonte escatologico
Quando il nostro iconografo orienta il suo pennello sulla superficie bianca da dipingere, ha una certezza interna per l’esito, perché quest’ultimo non dipende dal suo talento o dalla sua istruzione, ma dalla presenza trasfigurante dello Spirito Santo, sempre pronto a riscaldare la sua mente e il suo cuore e a condurre la sua mano e i suoi occhi alla raffigurazione della luce taborica, che testimonia la vicinanza o addirittural’unione delle persone sante con il loro modello teandrico.
Analogamente, la comunità dei credenti sintonizza i suoi passi spirituali al ritmo del Paraclito, senza vantarsi per le virtù o scoraggiarsi per le ritrattazioni o le cadute. Perché la comunità ha fiducia nell’azione magistrale, santificatrice e direttrice dello Spirito(23), ed è convinta che la fine di questo cammino non sarà altro che l’incontro personale con lo Sposo Crocifisso intorno al banchetto abbondante nella casa dell’amore paterno; di questo amore che trasformerà ogni avventura esistenziale, ogni sconfitta e ogni peccato dell’uomo in una memoria dolorosa ma condannata a svanire pian piano nella gioia della festa interminata.
Note
1 Mt 17, 1-8; Mc 9, 2-8; Lc 9, 28-36;
2 Gen 1, 26;
3 Gal 4, 4-7;
4 Kallistos e Ignazio Xanthopoulos, «Di quelli che scelgono vivere in quiete»: Filocalia, IV, Atene 5 1991, p. 281 (in greco);
5 Gregorio di Nissa, Fine professione e perfezione del cristiano: PG 46, 44CD, 245Α. Cf. Basilio di Cesarea, Regole diffuse, PG 31,1028BC;
6 http://www.pravmir.ru/article_88.html;
7 Mt 17, 21;
8 Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie al popolo antiocheno III: PG 49, 51;
9 Cf. Mc 7, 21-22;
10 Ef 4, 1-7. 1, 16-18;
11 Gregorio Palamas, Omelia XXXIV: ΡG 151, 433Β;
12 Cf. Atti 15, 8;
13 2Pt 1, 16-18;
14 Cf. Mc 16, 1; Mt 28, 1;
15 Gregorio Palamas, Omelia XXXV: ΡG 151, 437Α;
16 Es 24, 18;
17 3 Re 19, 8-18;
18 Atti 2, 1-41;
19 Atti 9, 1-9;
20 Cf. Gregorio di Nissa, Epitafio di Basilio il Grande: PG 46, 809;
21 Sal 36, 9;
22 Simeone il Nuovo Teologo, Inni XV, Tessalonica 1990, p. 154-156 (in greco);
23 Gv 14, 25-26. 16, 12-13.
Testo di Panaghiotis Ar. Yfantis; Università Aristotele di Tessalonica, Facoltà di Teologia
Icona russa della Trasfigurazione del Signore (XV secolo)