A proposito di comunicazione... La parola è l'incarnazione del significato. Lettera di Pavel Florenskij

Lettera di Paolo Florenskij alla figlia Olga, chiamata affettuosamente Olen’, vezzeggiativo russo che vuol dire “renna”, “cervo”.
Solovki, 21 giugno 1935 – N.22 ► Dalle isole del martirio ◄

Cara Olen’,
sono molto contento che tu cominci a guarire, ma non lo sono altrettanto del fatto che non vuoi essere prudente e pensare responsabilmente al futuro. E’ necessario che ti ristabilisca del tutto dalla malattia e rinvigorisca, ma per farlo, devi dare riposo alla testa, senza affaticarla e senza sforzare la vista, leggendo il meno possibile e stando il più possibile all’aria aperta e al sole. Il sistema nervoso viene troppo indebolito dalle malattie specifiche, cosicché la convalescenza procede assai lentamente e richiede una grande attenzione. Nel caso contrario, non solo può rimanere una facile vulnerabilità nella stessa sfera, per motivi da nulla, ma anche possono restare tracce irremovibili delle lesioni. Te lo ripeto un’altra volta: dà retta alla mammina, non leggere troppo e accumula forze durante l’estate, tanto più che, nel nostro clima, essa è molto breve. Ti mando un po’ di licheni delle renne, pensando al tuo nome.¹
Oggi ho parlato, come succede qualche volta da noi, della poesia russa e in particolare di Fet (Afanasij Afanas'evič Fet-Šenšin), con un impiegato del laboratorio. Ti comunico qualche mia riflessione che forse ti sarà interessante ascoltare. La parola è l’incarnazione del significato (dell’accezione fondamentale formata con i suffissi e con le flessioni in una categoria logica e delle accezioni secondarie che si depositano su questo nucleo, il così detto semema) nell’ambiente corporale (composto da suoni, in genere molto complessi, e da sensazioni di articolazione , cioè da quei processi che servono per pronunciare una parola). In modo generale, si possono definire queste due caratteristiche della parola come il suo elemento di significato e il suo elemento musicale.
Per la presenza di questi due elementi che sono armonicamente uniti in essa, la parola occupa l’apice di tutte le manifestazioni umane: l’uomo è un essere verbale.²
Tuttavia è difficile rimanere a tale altezza in perfetto equilibrio, perciò gli scrittori mediocri cadono continuamente o nella prevalenza del significato sulla musica della parola, o nella prevalenza della musica sul significato. Nel primo caso, la parola si riduce a un mero segno convenzionale il cui suono non incarna in sé il significato della parola, ma è solamente legato ad esso con un legame arbitrario, in modo convenzionale ed artificioso; nel secondo caso, invece, la parola acquista un carattere magico e agisce non sull’uomo preso nella sua totalità, cioè sulla sua ragione, ma a livello psico-fisiologico, sensoriale. Nel caso in cui tale scantonamento verso l’una o l’altra direzione sia di maggiore rilevanza, si ottiene o un codice convenzionale, o una brutta musica, cioè non si ha più né valore razionale, né valore musicale. Perché? Perché il significato ha bisogno del corpo,³ cioè, per essere pienamente realizzato non deve toccare solo l’intelletto; quanto alla musica, essa richiede potenzialità fisiche maggiori di quelle che, sotto questo aspetto, le concede il discorso; inoltre, neanche la musica può essere priva di un significato contenutistico, anche se specificatamente suo.
Succede dunque che alcuni scrittori rovinano lo strumento prezioso della parola, facendone un materiale che, così utilizzato, perde la sua forza musicale, mentre altri rovinano lo stesso strumento costringendolo a imitare espressioni inferiori, quali il canto e gli strumenti musicali. In entrambi i casi, non viene adoperata la natura preziosa della parola: la sua dualità. Il primo errore porta a un eccessivo razionalismo; il secondo, al naturalismo, o meglio, a un naturalismo magico, ad agire sull’uomo non tramite la pienezza della percezione, cioè non tramite la ragione, dall’interno e liberamente, ma dall’esterno, coercitivamente e in modo molesto.
In Puškin c’è l’armonia perfetta del significato e del suono. In Lermontov già comincia a delinearsi un declino verso una cattiva musicalità. Anche Fet ha seguito la strada del naturalismo e del magismo. Balmont4 ha continuato la sua strada. Lo stesso difetto è caratteristico di Block.5 A volte si dice di un poeta, per fargli una lode: le sue poesie cantano. (Non cantano invece quelle di Puškin, né quelle di Goethe, né la poesia dell’antichità classica). In realtà questa non è una lode, ma un rimprovero. Certe poesie effettivamente cantano, e cantano in maniera artificiale. Ma ascolta bene che cosa cantano: una melodia da quattro soldi, una romanza priva di contenuto. Se tale melodia fosse eseguita da degli strumenti musicali, tutti direbbero: “Quanto è banale!”. E invece tutti si sorprendono. Ma di che cosa? Di un trucco da prestigiatori: sono parole, ma suonano come un concerto; è un quadro, ma fatto di francobolli. Ma è un quadro brutto, roba di cattivo gusto.
Non vorrei comunque che tu attribuissi alle mie parole un significato esagerato. Apprezzo e stimo Fet, mi piace e ha su di me un forte effetto, ma la sua debolezza sta nel fatto che si permetteva di cantare, mentre avrebbe dovuto parlare.6 Inoltre, canta di cose casuali, che agiscono per associazione d’idee e non per il significato contenutistico (anche questo, non sempre, non parlo qui che delle debolezze). Non troviamo in lui le formule eterne dell’essere, ma solo ricordi soggettivi (impressionismo).
L’altro scantonamento, quello del razionalismo eccessivo, ancora più brutto, è seguito dalla maggioranza dei poeti degli anni Cinquanta-Novanta, cioè da tutta la scuola di Nekrasov7 e compagnia. Un’assoluta eccezione è costituita da Tiutčev, nella cui poesia troviamo l’armonia del significato e del suono.
Non c’è più spazio per scrivere. Un bacione forte a te, cara Olen’, non dimenticare il tuo papà e bada alla tua salute. Un altro bacio. (…)

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Note
¹ Un altro vezzeggiativo del nome Olga in cui Florenskij usa un gioco di p arole: “olen” in russo vuol dire “renna” o “cervo”. (Ndt)
² Quest’idea, strettamente legata alla comprensione florenskijana del simbolo, indica una delle chiavi interpretative della teoria del linguaggio che padre Pavel elaborò in particolare negli anni Venti e Trenta. Secondo la sua convinzione, la parola è una realtà viva, formata da diversi strati uniti e, al contempo, distinti nella stessa dinamica o dialettica che caratterizza il rapporto fenomeno-noumeno, una dinamica/dialettica su cui si basa anche il rapporto parola-uomo: il primo è il simbolo, ossia la rivelazione del secondo. La parola, di conseguenza, non è una caratteristica casuale della realtà dell’uomo, una semplice espressione della sua esistenza o attività, ma la sua caratteristica costitutiva, anzi, l’essenza stessa dell’essere umano. Si può anche dire: la parola è la persona stessa, nell’aspetto del disvelamento di sé e dell’autodonazione.
³ Quest’affermazione esprime il cuore della “metafisica concreta” con cui Florenskij si oppose radicalmente sia al pensiero antimetafisico positivista che alla metafisica astratta. Le intuizioni fondanti di una tale metafisica risalgono ai tempi di infanzia, caratterizzati – come ricorda egli stesso – da una visione empirico-spirituale o simbolista dei fenomeni della natura: “In ogni fibra del suo corpo [del fenomeno] vedevo e volevo vedere, cercavo di vedere, credevo di poter vedere l’anima, l’unica essenza spirituale. E perciò, quanto ferma era la mia certezza che il corpo non fosse solamente corpo, solo un’inerte materia, solo qualcosa che si vede, tanto ferma era la certezza opposta dell’impossibilità, dell’inutilità della presunzione di vedere quell’anima incorporea, spogliata del suo velo simbolico. (…) Il positivismo mi disgustava, non meno, però, mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l’anima, ma volevo vederla incarnata” (Ai miei figli, cit.,154).
4 Konstantin Dmitrevič Balmont (1867-1942), poeta russo, tra i maggiori rappresentanti del movimento decadente-simbolista.
5Aleksandr Aleksandrovič Blok (1880-1921), poeta, massimo esponente della scuola simbolista, di cui fu anche il teorico; se ne distaccò in seguito a una crisi spirituale e politica, trovando accenti grotteschi o realistici, impregnati di pessimismo. Si pensa che Florenskij sia l’autore del saggio Su Block (del 1926[?], apparso sulle pagine della rivista parigina “Put’” (“Via”) con la firma “Sacerdote pietroburghese”. Cfr. E. Ivanova, Florenskij autentico o fittizio? (in russo), in “Literaturnaja učeba”, 6 (1990), 106-114.
6 In un’altra occasione Florenskij scrisse: “La melodia quasi precede la parola, il poeta canta. Quasi… Ma il punto è proprio questo, che si cerca la parola, esattamente la parola o qualcosa di simile a essa. E in questo sta il tormento: nel poeta la musicalità è musicalità della parola articolata, e non del suono in generale, è poesia, e non musica pura, poiché anche Fet resta pur sempre un poeta, e non un musicista. In ciò sta la difficoltà: si vuole non decantare, ma esprimere proprio ciò che non è stato detto. In ciò sta il problema: la lingua non può non essere pensata come onnipotente, come onniespressiva, e Fet, dopo essersi tormentato per l’impossibilità di incarnare il sentimento della parola, incarnò comunque le inafferrabili trepidazioni dell’animo, e proprio nella parola”, (P.A. Florenskij, Le antinomie del linguaggio, in Id., Attualità della parola. La lingua tra scienza e mito, cit., 80).
7 Nikolaj Alekseevič Nekrasov (1821-1878), poeta russo, giornalista d’ispirazione radicale, attento alle problematiche sociali, diresse varie riviste di critica.

(tratto da: Non dimenticatemi, di Pavel Florenskij. Oscar Saggi Mondadori)


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