Nikolaj Fyodorov, il «Socrate di Mosca». La filosofia della causa comune

Nikolaj Fjodorovič Fjodorov è stato il pioniere del cosmismo e come tale ha lasciato un segno profondo nella storia della Russia. La sua «filosofia della causa comune» ha influenzato i lavori di tantissimi scienziati come Konstantin Tzjolkovskij, pioniere dell’astronautica, Vladimir Vernadskij e Alexander Chizhevsky, e il pensiero filosofico-religioso di Vladimir Solov’ev e Nikolaj Berdjaev; ha avuto un profondo impatto sul lavoro dei maggiori esponenti della letteratura russa del Novecento come Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj, Valery Brjusov e Vladimir Majakovskij, Nikolaj Klyuev e Velimir Chlebnikov, Maxim Gorky e Mikhail Prishvina, Andrej Platonov, Boris Pasternak e Aleksandr Bogdanov. È nato nel 1829 nel villaggio di Kliuchi, nella provincia di Tambov, nel sud della Russia. La lotta contro la natura matrigna, contro la distruzione reciproca degli uomini - soggetti a questa natura - e la ricerca di una causa comune che sia in grado di unire e rendere fraterni l’uno all’altro gli uomini, sono i cardini del pensiero di Fjodorov. Nel 1869 si trasferì a Mosca e dal 1874, per venticinque anni, ha lavorato come bibliotecario presso il Museo Rumyantsev della città. Egli considerava immorale la proprietà privata delle idee e dei libri. Tutto ciò che faceva la mente umana era patrimonio comune di tutte le persone, perché era la continuazione dei pensieri e degli scritti delle generazioni precedenti. Pertanto Fjodorov lasciò solo appunti e note di testo che, dopo la sua morte avvenuta nel 1903, furono conservati e sistematizzati da due suoi discepoli nel libro, distribuito nel 1906, che aveva per titolo: «La filosofia della causa comune».



«La filosofia della causa comune» di Fjodorov era una visione del mondo che, mescolando elementi religiosi del cristianesimo ortodosso con le scoperte della scienza e della tecnica del tempo, chiamava l’umanità a fraternizzare unendosi in una lotta comune per vincere la morte, per dominare le forze cieche della natura, per ridare la vita agli antenati e per essere infine degni, incarnando la volontà divina, di portare la razionalità nell’intero universo. Una filosofia religiosa pragmatica e proiettiva che, con estrema veemenza, poneva di fronte agli uomini compiti titanici - anche se in Fjodorov non c’è niente di «titanico-prometeico» nel senso che gli viene comunemente attribuito in Occidente, come una rivolta contro il divino, perché la «causa comune» è invece conforme alla volontà di Dio - compiti grandiosi come la resurrezione, o rianimazione, dei padri e degli antenati ad opera dei figli.
Secondo Fjodorov questa «causa comune» è così straordinaria che sarebbe in grado di assorbire e mobilitare tutte le energie di coloro che, attualmente, le spendono in discordie e guerre reciproche; la pace e la fraternità tra gli uomini saranno possibili solo quando l’umanità unirà le sue forze per questo compito comune. La «causa comune» è «un’attività totalizzante, ampia, pura», che dà un senso all’esistenza dell’uomo sulla Terra, che altrimenti è costretto a «ricorrere a fantasie, rapimenti estatici e all’abuso di droga». «L’oggetto di questa azione saranno le forze cieche della natura, le ceneri dei padri o le molecole e gli atomi provenienti dalla decomposizione dei loro corpi, perché queste sono le forze cieche ed irrazionali che devono essere comprese e controllate». Solo allora la storia cesserà di essere la saga delle battaglie fratricide umane, «per diventare la cronaca della battaglia comune contro le forze cieche della natura che agiscono fuori e dentro di noi; non una battaglia contro gli altri, ma una lotta che porta all’unione contro la morte, per la resurrezione e la vita». È compito dell’umanità quello di arrivare finalmente a governare le forze cieche della natura come i terremoti, le inondazioni, i diluvi, le siccità, le malattie, che portano la distruzione, la carestia e la morte; quest’ultima per Fjodorov è solo un fenomeno naturale che può e deve essere superato dalla «conoscenza e dall’azione» dell’uomo; anzi, dovere dell’uomo - dei figli - è riportare in vita gli antenati, vittime delle forze cieche della natura, utilizzando la scienza e la tecnologia, strumenti della ragione umana.
Per Fjodorov non c’è niente di più naturale dell’uso razionale dell’intelligenza per dominare le forze cieche della natura, mentre è innaturale il continuo dispiegarsi di queste forze cieche di fronte alla ragione, perché mostrano l’inattività della ragione stessa. All’operosità dell’umanità guidata dalla ragione e unita nella «causa comune», si aprono campi d’azione sterminati, non limitati dal tempo: «Per un grande intelletto capace di abbracciare in una formula i movimenti sia dei più grandi corpi celesti dell’universo che degli atomi più piccoli, niente rimarrà sconosciuto, il futuro e il passato gli saranno accessibili»; l’oggetto dell’azione non avrà neanche confini spaziali. «I problemi di carestie ed epidemie ci spingono a trascendere i confini del mondo. Il lavoro umano non dev’essere limitato dai confini del pianeta, dal momento che non esistono confini né frontiere. Il pianeta Terra è aperto da tutti i lati. I mezzi di trasporto e le modalità con cui viviamo in ambienti diversi, possono e devono essere cambiati».
Questa lotta contro le forze cieche della natura, contro la «natura portatrice di morte», non è qualcosa di anomalo, peculiare della modernità e sviluppatosi solo negli ultimi secoli dei «lumi» - caratterizzati dall’affermazione del pensiero scientifico - rompendo con un presunto stato precedente fatto di equilibrio armonioso tra l’uomo e l’ambiente, ma fin dalle sue origini la specie umana ha sempre sentito e riconosciuto «l’imperfezione della natura, e non l’ha mai accettata come una legge. Ha rotto questa legge quando ha fatto il suo primo passo, perché la sua postura verticale ha sfidato la forza di gravità, la legge più universale della natura. Questa posizione verticale non è naturale per l’uomo - è sovrannaturale - e l’ha raggiunta artificialmente, attraverso lo sforzo (con fasciature e altri metodi di adattamento)».
L’uomo deve costruire il suo futuro con il sudore della fronte ed il lavoro creativo; lo condanna a questo destino la sua mancanza di specializzazione naturale, diversamente da tutti gli altri esseri animali. Alcune considerazioni di Fjodorov su quest’argomento ricordano quelle dell’antropologia filosofica sviluppata successivamente da Arnold Gehlen. Scrive infatti Fjodorov: «Non si può dire dell’uomo che è una creazione della natura. Al contrario, è il risultato di una sotto-creazione, di privazione, di un pauperismo naturale che è condiviso dai ricchi e dai poveri, è un proletario, un paria tra le creature viventi. Eppure, in questo sta l’origine della sua futura grandezza; privo di protezione naturale e mezzi di difesa, ha dovuto crearli da sé con il proprio lavoro. Pertanto l’uomo valorizza solo ciò che è stato creato dal lavoro, o che espande l’area di applicazione del lavoro; non è difficile immaginare che il culmine di questo movimento in avanti dev’essere che tutto ciò da cui la vita umana dipende sarà conseguito attraverso il lavoro, in modo che gli esseri umani dipenderanno unicamente dal loro lavoro». All’uomo si apre sempre di più, con il trascorrere del tempo, la necessità di ampliare il proprio campo d’azione. Di fronte a questo destino insieme tragico ed eroico, l’uomo rischia di non riuscire a sopportare il carico psicologico di questo fardello di cui è sempre più consapevole, e di non essere pertanto all’altezza degli obiettivi della «causa comune», rinunciando all’azione creatrice e accettando timorosamente la subordinazione alla natura: «L’attuale generazione è troppo spaventata dalla grandezza del tempo e dello spazio rivelato dalla geologia e dall’astronomia, ed è stata così condizionata da quattro secoli di culto della natura, che percepisce solo la sua insignificanza, e teme addirittura a contemplare uno sforzo come quello del controllo del tempo». Per Fjodorov «La natura è il nostro nemico provvisorio, ma il nostro amico eterno, poiché non vi è alcuna ostilità eterna, e la rimozione del provvisorio è il nostro compito».
L’attuale relazione tra l’uomo e la natura, in particolare negli Stati Uniti, è per Fjodorov caratterizzata dallo sfruttamento e guidata dalle logiche individualistiche del profitto e dei brevetti, per la produzione di oggetti - «giocattoli» nella terminologia di Fjodorov - meschini, inutili ed infantili, e per la produzione di micidiali armi da guerra per la distruzione reciproca: «I capitalisti considerano la natura come un magazzino da cui estrarre i mezzi per una vita confortevole e piacevole, per distruggere e sperperare la ricchezza della natura accumulata nel corso dei secoli». Fjodorov crede, invece, che questo rapporto dovrebbe essere di regolazione e ricreazione - contrario allo sfruttamento predatorio del capitalismo industriale e del militarismo - e porsi compiti degni della maturità, dell’età adulta dell’uomo, come il governo dei processi meteorologici e «tellurico-solari», la lotta contro la morte e la resurrezione degli antenati. Essere maturi significa saper ascoltare la natura, «questa forza cieca che non ci chiede altro se non quello di dotarla di ciò che gli manca: una direzione razionale, una regolamentazione». Raggiungere l’età adulta significa rifiutare le logiche individualiste e comprendere che finché l’umanità sarà disunita, sarà impossibile la regolamentazione della natura: «Il controllo della forza cieca della natura, può e deve diventare il grande compito comune a tutti noi».
Nei paesi industrializzati «la scienza non può venire a pieno compimento perché non riesce a trovare applicazioni sufficientemente grandi per accordarsi con l’ampiezza della conoscenza. Negli Usa la realtà non coincide con la conoscenza perché la realtà è limitata dalla produzione d’inezie e frivolezze, mentre la conoscenza tende a comprendere la natura come un tutto. Chiaramente, la scienza ha superato la sua culla. La fabbrica e l’officina sono troppo costrittive; la scienza ha bisogno di più spazio». Fjodorov rimarca, pertanto, l’indispensabilità dell’unione planetaria di tutti i popoli nella causa del compito comune: «Il compito di trasformare la forza cieca può essere realizzato solo da una comunità di tutti i popoli e le nazioni», nella fraternità e nell’unione dell’umanità. «La storia non può essere la nostra azione, il risultato della nostra attività, fintanto che viviamo in discordia. Anche quando siamo uniti, la nostra vita tribale non può essere governata dalla ragione, finché l’uomo dipende dalle forze cieche della natura e finché non riesce a farne lo strumento di una ragione e di una singola volontà collettiva».
Quest'unione comporterà la trasformazione di tutti i popoli, con l’aiuto degli intellettuali, in una forza scientifica collettiva, «atta all’elaborazione di un piano d’azione comune», senza il quale l’umanità non può agire come un singolo essere, non può raggiungere l’età adulta.
I popoli riuniti saranno guidati da un capo carismatico, che Fjodorov, di impostazione monarchica, individua nello Zar di Russia, a cui spetterà un compito universale: «Solamente l’imperatore dell’Impero indiviso, che porta il suo esercito non a confrontarsi con gli esseri umani, ma con la forza cieca ed oscura della natura, può entrare con i suoi compagni d’armi nel paradiso che stanno creando».
Gli eserciti - che dispongono di strumentazioni e mezzi tecnici all’avanguardia - dovranno essere radicalmente trasformati, data l’impossibilità della loro abolizione, come sperano invano i pacifisti: «Di rilevante importanza sarà la trasformazione delle attività militari nello studio della natura; un nuovo scopo sarà dato agli eserciti - quello della ricerca scientifica. Così inizierà il passaggio da un’attività innaturale ed ostile - la lotta contro i propri consanguinei - ad un’azione naturale e razionale sulle forze cieche ed irrazionali della natura, che ci infliggono siccità, inondazioni, terremoti e altre catastrofi, e ci riducono, esseri razionali che siamo, ad una dipendenza innaturale da queste forze».
Il servizio militare, così trasformato da forza negativa a forza positiva, esteso a livello mondiale, viene visto come una preparazione «per una lotta sacra e comune, non contro gli altri, ma per gli altri, contro la forza della natura che agisce al di fuori e dentro di noi».
Allora finalmente «un’umanità unita diventerà la coscienza del pianeta Terra e dei suoi rapporti con gli altri corpi celesti».

Come risulta evidente da quanto fin qui visto, la filosofia della «causa comune» di Fjodorov si pone in modo antitetico rispetto all’attività meramente mistico-contemplativa, al ruolo passivo dell’uomo di fronte al mondo e alla natura e a chi cerca di porre limiti al campo d’azione del lavoro umano. I suoi attacchi al misticismo, considerato come una forma infantile o minore dell’umanità - che dovrà presto lasciare il posto ad una fase di maturità in cui la specie umana si unirà attorno alla «causa comune» - si rivolgono in particolare contro Solov’ev, Kant, Dante e Tolstoj, e alle forme religiose inattive e passive di fronte alla natura come il paganesimo e il buddismo, o alle attività ridondanti ed inconcludenti dei dotti; la «causa comune» indica invece all’uomo la necessità di cominciare a costruire, qui ed ora, grandi piani d’azione per realizzare migliori - e infine paradisiache - condizioni di vita, che portino alla fraternità degli uomini e alla resurrezione dei padri. Secondo Fjodorov i mezzi tecnico-scientifici attuali non sono apparenti, «e anche se oggi solo pochi di essi sono effettivamente operanti, in futuro saranno incomparabilmente maggiori: tentativi di regolazione del processo meteorologico, della pioggia, della grandine, della radiosità polare; tentativi di scongiurare minacce sotterranee, terremoti; tentativi di eradicare le malattie epidemiche, di contrastare il declino dell’organismo e, infine, tentativi di rianimazione. (...) Il percorso da attuare non è attraverso l’abolizione del reale, ma piuttosto verso il perfezionamento del mondo materiale e verso la reale, non mistica, esecuzione dello spirituale e della rianimazione».
Nel filosofo della «Critica della ragion pratica» non si trova traccia di un grande progetto e di un vasto piano capace di mobilitare l’umanità: «Per Kant la pace è solo il nostro pensiero, non la realtà», mentre per Fjodorov il pensiero deve diventare pianificazione, altrimenti l’uomo cade vittima di attività illusorie come «l’ipnotismo, lo spiritualismo e così via». C’è bisogno invece di una grande azione comune realizzabile solo da tutta l’umanità. «Kant invece cerca solo di spiegare i sistemi dell’universo senza partecipare ed agire in questi mondi con la forza creatrice della ragione».
Anche la «Divina Commedia» di Dante è in conflitto con la filosofia della «causa comune» di Fjodorov: «La prima carenza del Paradiso di Dante - questo paradiso per minori, per coloro che considerano l’immortalità e la beatitudine come un loro diritto di nascita e non come il risultato del lavoro - è che questo paradiso non è stato creato da loro; esiste già, è stato creato per loro ma non da loro. (...) Eppure la felicità risiede in primo luogo nel lavoro di creazione, e la regolazione del processo meteorologico è la prima fase del compito celeste - la creazione di paradiso».
In ultimo, anche i dotti finiscono sotto l’accetta di Fjodorov. Gli intellettuali, che risiedono negli agi e nelle comodità della città, lontano dai duri campi di lavoro dei villaggi delle campagne, esposti alle intemperie naturali e alle sofferenze, si dilettano a «studiare la natura così com’è senza pensare a quello che dovrebbe essere affinché il mondo diventi perfetto. Hanno studiato le cause senza considerare i fini. Nessuno scopo superiore guida la loro ricerca scientifica, che spesso è puramente casuale». Solo quando i dotti passeranno dalla conoscenza all’azione, «progrediranno da una conoscenza di ciò che è a quella di ciò che deve essere».

Al contrario del buddismo e del paganesimo, accusati di essere mistici e passivi di fronte alla natura, per Fjodorov l’unica vera religione è quella cristiana anche se, qualora il cristianesimo si rifiutasse di incarnare «il compito divino della causa comune» contro le forze cieche della natura, finirebbe per diventare indistinguibile dal paganesimo, un errore che si è già verificato in passato, in particolare nel cattolicesimo, dove la contemplazione ed il mistero sono stati abusati fino a negare l’attività creatrice dell’uomo. Eppure il cristianesimo rimane «l’unica religione vivente ed attiva, per il quale il problema della vita e della morte è un problema religioso, quello della resurrezione; così è quando ogni venerdì chiede: ‘Perché soffrono i viventi?’, quando ogni sabato domanda: ‘Perché gli esseri viventi muoiono?’ e infine quando ogni domenica chiede: ‘Perché i morti non sono tornati in vita? Perché quelli che sono nelle loro tombe non sono risorti?’». Pertanto, per Fjodorov una religione vivente, come quella cristiana, è quella che trasforma in religione il problema della vita e della morte, del ritorno della vita, della resurrezione, che pone l’uomo di fronte ai suoi doveri di creazione e di lotta contro le forze cieche della natura. Questo è il senso profondo della religione cristiana, annunciata una volta per tutte con la venuta di Cristo. Per Fjodorov la rivelazione divina è finita ed è ora iniziato il tempo dell’azione dell’uomo; le profezie apocalittiche servono solo a spronarne le energie per il lavoro creativo, non sono il monito di un destino ineluttabile: «Il pauroso Giudizio Universale è solo una minaccia per l’immaturità del genere umano». Fjodorov esprime quindi la possibilità di evitare il giudizio universale e le sue conseguenze irrevocabili, grazie al lavoro attivo dell’uomo. Se gli obiettivi della «causa comune» saranno fatti propri dal genere umano, allora non ci sarà la fine del mondo; l’umanità, con una natura trasformata e definitivamente dominata, avrà esperienza diretta della vita eterna.
Per Fjodorov la creazione del mondo non è stata terminata da Dio, ma è continuata dall’uomo, a cui spetta il compito di completarla: «Dio-Creatore creò l’uomo in corrispondenza ad un’idea creativa, quella che fosse un ri-creatore»; «Dio è lo Zar, che fa di tutto non solo semplicemente per l’uomo, ma anche attraverso l’uomo; (...) il Creatore attraverso di noi ricrea il mondo». Ma l’uomo - e questa è l’interpretazione che Fjodorov fornisce del peccato originale - «preferì il piacere e non riuscì a sviluppare, a creare organi adatti a tutti gli ambienti, e i suoi organi divennero atrofizzati e paralizzati, e la Terra diventò un pianeta isolato. Il pensiero e l’essere si separarono». Il peccato originale dell’uomo sta nel non essersi applicato a dovere nel suo lavoro creativo che avrebbe dovuto trasformare anche la sua corporeità fisica per permettergli di muoversi a piacere, come un angelo celeste, negli spazi sconfinati del cosmo. La «causa comune» ha pertanto il compito di ridare all’uomo la consapevolezza del suo compito creativo divino, perché «gli esseri umani sono stati creati per essere i poteri celesti in sostituzione degli angeli caduti, per essere strumenti divini di Dio al fine di governare l’Universo e ripristinarne la magnificenza incorruttibile che aveva prima della Caduta».
Fjodorov usa spesso anche il termine «supramoralismo» per determinare l’essenza della «causa comune»: «Supramoralismo, o la risposta alla domanda, ‘Per cosa è stato creato l’uomo?’, indica che la razza umana, attraverso la regolamentazione dei mondi celesti, diventerà essa stessa una forza celeste che regola i mondi dell’Universo». Egli vuole un cristianesimo operante hic et nunc, non una religione che accetta come un dato di fatto la subordinazione dell’uomo alle forze cieche della natura. Il «Socrate di Mosca» esige che «il regno di Dio, non sia qualcosa di un altro mondo, ma di questo mondo, qui ed ora; una trasfigurazione di questa realtà terrena, che si estenda a tutti i mondi celesti e ci conduca vicino al mondo ignoto. (...) Il regno di Dio non è solo dentro di noi, non è solo un regno mentale e spirituale, ma anche visibile, tangibile, percepibile».
Per Fjodorov la giustificazione religiosa dell’attività creatrice dell’uomo e del suo compito divino, trovano una totale corrispondenza in uno dei dogmi principali del credo cristiano, quello delle due nature di Cristo, che dev’essere inteso praticamente e come un comando: anche l’uomo può e deve diventare un essere semi-divino, un angelo celeste, raggiungendo l’immortalità e l’eternità, resuscitando i propri antenati: «Supramoralismo è sinonimo del più grande comandamento, di diventare perfetti come il Padre nostro che è nei cieli; ci chiama al compito di ri-creazione e rianimazione per paragonarci al Creatore, perché così ha pregato Cristo nella sua ultima preghiera, ‘Perché tutti siano una sola cosa’».
La resurrezione per Fjodorov è il bene più prezioso perché la morte è il male più grande che affligge universalmente tutti gli uomini - un vero e proprio «crimine», che ha accompagnato l’uomo fin dalle sue origini; è infatti «nei tormenti della consapevolezza della morte che nacque l’anima dell’uomo». La sua accettazione passiva è un’espressione dell’immaturità - d’infantilismo - dell’uomo, del suo essere in balìa delle forze cieche della natura, della sua incapacità di ripristinare la vita, della mancanza di reciproco sostegno tra gli uomini. Soprattutto nell’Europa occidentale si riscontra una forma di puerilità cripto-pagana di matrice rinascimentale che accetta ed esalta la morte, considerata naturale, e «la paura della morte porta a considerarla come una forma di liberazione da questa paura angosciante, a scriverne inni elogiativi e a glorificarla».

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Nikolaj Nikolaj Fjodorovič Fjodorov (1829 - 1903)